Rientro a lavoro dopo la maternità: la legge e i diritti della mamma - Mammeacrobate

Maternità” è un termine ampio che presenta diversi significati a seconda del contesto nel quale viene collocato: maternità come inizio di una nuova fase della vita di una donna, maternità inteso come senso materno, ma anche maternità come termine utilizzato dal nostro legislatore per indicare il complesso dei diritti che, per l’appunto, spettano a tutte le future o neo mamme lavoratrici.
La normativa in materia di “maternità” riguarda, infatti, sia il momento antecedente la nascita del nostro bambino sia quello, altrettanto importante, immediatamente successivo ed è proprio a quest’ultimo che intendo dedicare maggiore attenzione, perché se è vero che il nostro bimbo ha bisogno di noi dal primo giorno della gravidanza è ancor più vero che la nostra presenza è indispensabile e fondamentale nel corso di tutta la sua vita, a partire dal suo primissimo respiro.

 

Ecco allora che quando (ahimè) arriverà il fatidico giorno del rientro al lavoro, conoscere l’esistenza delle seguenti norme, oggi raggruppate all’interno di un unico testo (decreto legislativo n. 151 del 26.03.2001, Testo Unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità) potrà esservi di grande aiuto. Prima di segnalarvi le disposizioni più interessanti, ricordo a tutte che in base all’art. 56 del citato decreto “le lavoratrici hanno diritto di conservare il posto di lavoro e, salvo che espressamente vi rinuncino, di rientrare nella stessa unita’ produttiva ove erano occupate all’inizio del periodo di gravidanza o in altra ubicata nel medesimo comune, e di permanervi fino al compimento di un anno di eta’ del bambino; hanno altresi’ diritto di essere adibite alle mansioni da ultimo svolte o a mansioni equivalenti”; sono certa che la maggior parte di voi è già a conoscenza di questa norma, ma ho preferito, comunque, data la sua importanza ribadirla, soprattutto se si considera che, in alcuni casi, il datore di lavoro, nel bieco tentativo di portare la dipendente alle dimissioni “spontanee”, tenta di adibire la lavoratrice ad un lavoro completamente differente da quello svolto in epoca precedente la gravidanza.

Ma veniamo ora alle disposizioni salienti del Testo Unico:

 

Riposi giornalieri della madre

 

L’art. 39 stabilisce che il datore di lavoro deve consentire alle lavoratrici madri, durante il primo anno di vita del bambino, due periodi di riposo retribuiti, della durata di un’ora ciascuno ed, eventualmente, cumulabili durante la giornata. Tali permessi si riducono ad un unico permesso se l’orario di lavoro è inferiore alle sei ore e vengono dimezzati nella loro durata qualora la madre usufruisca di un asilo nido o un servizio analogo, istituito dal datore di lavoro all’interno dell’azienda o nelle sue immediate vicinanze. Inizialmente tali permessi vennero concepiti per consentire alla madre di allattare; oggi, invece, è possibile usufruire di questi riposi retribuiti dal datore di lavoro, per conto Inps,  indipendentemente dall’allattamento. Ciò significa che, durante il primo anno di vita del bambino, non vi verrà (o non dovrebbe venirvi) chiesta alcuna giustificazione per questo tipo di assenze: a tale proposito è bene sapere che questi permessi consentono alla donna di uscire fisicamente dall’azienda e di farvi ritorno solo allo scadere del tempo.
Tali riposi spettano, infine, anche alle madri adottive ovvero a coloro che abbiano ricevuto un bimbo in affido, ovviamente soltanto per il primo anno di vita del bambino (art. 45).

L’art. 41 stabilisce che in caso di parto gemellare i suddetti periodi di riposo vengano raddoppiati, mentre l’art. 42 prevede una disciplina specifica per i genitori che abbiano un figlio con un handicap grave. Posto che per “handicap” si intende la situazione di svantaggio sociale dipendente da una disabilità o da una menomazione e che tale situazione può considerarsi “grave” quando il soggetto necessita di un contributo assistenziale permanente, continuativo e globale, esiste un vero e proprio procedimento al termine del quale viene riconosciuta questo tipo di disabilità. Non mi soffermerò al momento su questa parte, limitandomi a dire che esiste sul punto una normativa specifica al quale dedicheremo più avanti un intero capitolo, sebbene in caso di necessità particolari sono disponibile a rispondere a tutte le vostre domande.

Permessi per malattia del bambino

 

L’art. 47 consente ad entrambi i genitori di assentarsi dal lavoro per assistere il proprio figlio senza limiti di tempo o meglio per tutta la durata della malattia nel corso dei primi tre anni di vita del bambino; dai tre agli otto anni, invece, il permesso potrà essere sempre accordato alternativamente ad entrambi i genitori, ma nel limite di cinque giorni all’anno per ciascun figlio. Chiaramente la malattia del bimbo dovrà essere certificata dal pediatra del Servizio Sanitario Nazionale.
Anche in questo caso il nostro legislatore ha previsto un’identità di disciplina per i bimbi in affido e per i bimbi adottivi; anzi proprio in considerazione di alcuni aspetti peculiari che tali situazioni talvolta comportano, ha previsto non solo che entrambi i genitori possano assentarsi per tutta la durata della malattia del bimbo fino al compimento del settimo anno di età (e non del terzo), ma anche che “qualora, all’atto dell’adozione o dell’affidamento, il minore abbia un’età compresa fra i sei e i dodici anni, il congedo per la malattia del bambino è fruito nei primi tre anni dall’ingresso del minore nel nucleo familiare” (art. 50).

Al di là dei permessi per malattia e dei riposi giornalieri, non bisogna dimenticare quanto previsto dall’art. 32 del Testo Unico in materia di congedo parentale: in base a quest’ultima norma, infatti, ciascun genitore ha diritto – nei primi otto anni di vita del bambino – di astenersi dal lavoro per un periodo non superiore di 11 mesi. In particolare la madre lavoratrice potrà astenersi dal lavoro per un periodo di 6 mesi, immediatamente dopo aver goduto del congedo di maternità. In ogni caso il genitore che intenda avvalersi di tale possibilità dovrà avvisare il proprio datore di lavoro con un preavviso non inferiore a 15 giorni.

Divieto di licenziamento

 

a tale proposito l’art. 54 vieta di licenziare la lavoratrice dall’inizio della gravidanza fino al compimento del primo anno di età del bambino o fino ad un anno dall’ingresso nel nucleo famigliare in caso di adozione. Il divieto di licenziamento previsto da questa norma non è assoluto, ma – come è ragionevole – incontra alcuni limiti, quali:
–    colpa grave della lavoratrice. Riconosco che la nozione sia alquanto vaga e, decisamente, ampia, ma è pur sempre vero che in simili casi, qualora riteniate di essere state ingiustamente licenziate, sarebbe buona cosa rivolgersi immediatamente ai sindacati ovvero ad un
avvocato esperto in materia di diritto del lavoro che saprà, certamente, come aiutarvi. Va da sé, ad esempio, che commettere un furto, possa essere ritenuto giusta causa di licenziamento anche in caso di donne in gravidanza o madri con prole, sebbene anche qui la situazione vada valutata caso per caso.
–   cessazione dell’attività dell’azienda;
–    risoluzione del rapporto per scadenza del termine, nel caso, ad esempio di contratto a tempo determinato ovvero conclusione del progetto/incarico cui la donna era stata adibita;
–   esito negativo del periodo di prova. A tale proposito mi sia consentito dire che credo sia doveroso e sinonimo di civiltà, o meglio di senso civico, informare l’eventuale futuro datore di lavoro del proprio stato di gravidanza al momento del colloquio, al fine di evitare di incappare in spiacevoli situazioni sia durante la gestazione che dopo la nascita del vostro bimbo.

 

Il Testo Unico contiene numerose altre disposizioni che riguardano casi particolari (lavoro notturno, lavoro domestico, lavoratrici autonome etc.), ma, proprio per la vastità dell’argomento trattato, affronterò tali casi volta per volta, restando, pur sempre a disposizione, per rispondere ad eventuali vostre domande.
Nel frattempo auguro a tutte un piacevole rientro!

 

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3 Comments

  1. Ciao.
    Io devo rientrare dalla maternità a breve. Alcuni mesi fa mi avevano comunicato che non mi avrebbero ridato il mio posto (perché la mia sostituta mi ha “fatto le scarpe”) e che non avevano altre mansioni per me. Oggi invece mi comunicano che fino al compimento dell’anno del piccolo mi daranno il mio lavoro ma dopo il compimento dell’anno non me lo garantiscono più. Volevo chiedere se possono farlo, possono spostarmi o licenziarmi dopo che il piccolo avrà compiuto un anno?
    Grazie.

  2. Ciao.
    Sono in maternità facoltativa e con tutte le ferie da smarcare dovrei rientrare a settembre. Ho una bimba di 9 anni e una di 7 mesi. Mi hanno chiamato dall’ufficio proponendomi un’altro lavoro, non quello che facevo prima, ad orari veramente assurdi. Praticamente non ho più il mio posto in ufficio ma in un laboratorio a fare una mansione mai fatta. L’orario sarebbe dalle 6.00 di mattina fino alle 15. Mi chiedo come faccio con due bimbe di cui una ha 7 mesi. Cosa devo fare non riesco a trovare nessuna soluzione. Fra l’altro mi richiamano prima di settembre, proprio quando ho la grande in vacanza scolastica. Aiuto, grazie.