Siamo giunte al quarto ed ultimo appuntamento del nostro percorso sull’educazione di genere che, non a caso, cade nella Giornata contro la violenza sulle donne. Oggi, infatti, insieme ad Annalisa Valsasina psicoterapeuta di Matrioska Group, rifletteremo sull’importanza dell’educare ai generi in famiglia, perché è proprio dalla quotidianità che bisogna partire per insegnare ai più piccoli che maschi e femmine hanno uguali diritti e doveri ed è compito di ciascuno di noi impegnarsi, affinché i nostri figli non crescano ingabbiati in stereotipi che inevitabilmente plasmeranno la loro visione del mondo e la loro identità di genere.
Quali ruoli abbiamo e che uomini/donne siamo? Come ci relazionano nella coppia? Sono tutti aspetti da cui partire per riflettere su noi stessi e sul valore che insegneremo ad attribuirsi ai nostri figli.
L’esempio, ormai lo sappiamo, è il primo messaggio educativo che offriamo a bambini e bambine: al di là delle parole e delle spiegazioni che possiamo fornire ai nostri figli ciò che profondamente conta e ha un impatto significativo su di loro sono i nostri comportamenti quotidiani, abituali, caratteristici, distintivi. In altre parole il nostro specifico modo non solo di essere uomo e donna ma anche uomo e donna in relazione tra loro. E il primo e principale teatro in cui questi ruoli vanno in scena è naturalmente la famiglia: è li, nella quotidianità delle nostre case e nell’automatismo dei nostri comportamenti, che i nostri figli imparano cosa “spetta” ad una donna e a un uomo, in famiglia e poi nella società.
La realtà italiana: cosa succede tra le mura domestiche?
Se prendiamo i risultati di alcuni ricerche sulla suddivisione di ruoli e compiti nelle famiglie (vedi per esempio Istat, 2012 Uso del tempo e ruoli di genere) il quadro che ne emerge non è purtroppo incoraggiante.
La diseguaglianza nella ripartizione dei compiti domestici è persistente: se alla fine degli anni Ottanta, l’85 per cento del lavoro familiare era a carico femminile, oggi lo squilibrio si è ridotto di soli 10 punti percentuali e prevalentemente nelle regioni del Nord del Paese. Le donne italiane, dunque, continuano a portare sulle loro spalle tre quarti dell’impegno delle attività domestiche e di cura (di bambini e anziani), mentre il tempo degli uomini è prevalentemente concentrato nelle attività professionali. E, anche quando i padri sono più presenti e attivi nel lavoro di cura, il loro coinvolgimento è soprattutto associato ad attività ludiche e ricreative con i bambini piuttosto che all’accudimento in senso stretto (preparazione dei pasti e alimentazione del bambino, vestizione, cura in caso di malattie, bagnetti, addormentamento, risvegli notturni), attività anche routinarie che nella maggior parte dei casi vengono svolte dalle donne, stereotipicamente considerate più adeguate all’assistenza fisica dell’altro.
Guardando al rapporto genitori – figli, emergono differenze importanti in funzione del genere di appartenenza rispetto al coinvolgimento dei ragazzi/ragazze nelle attività domestiche. Per esempio, fin da piccoli, il contributo delle figlie al lavoro familiare è maggiore di quello dei maschi (un’ora e quattro minuti al giorno per le ragazze, 22 minuti per i ragazzi). Il divario appare significativo già durante l’adolescenza e cresce all’aumentare dell’età. Già tra i 3 e i 10 anni, sono più numerose le bambine rispetto ai loro coetanei maschi che svolgono attività connesse alla preparazione dei pasti (11,1 per cento contro 5,4 per cento) e, anche se in misura minore, la differenza si riscontra anche nelle attività legate alla pulizia e al riordino della casa (15,0 per cento contro 11,7 per cento).
L’influenza del genere nella vita quotidiana
Come mai queste differenze? Quanto agisce la costruzione sociale del genere (che passa anche dai giocattoli proposti) che permette e orienta comportamenti differenti nei bambini e nelle bambine? Ovviamente molto.
Anche quando i figli maschi sono coinvolti nella vita domestica, purtroppo gli stereotipi sono sempre in agguato perché i compiti prevalentemente svolti sono differenti: le attività, classificate come tradizionalmente femminili (p.e. pulizia della casa, preparazione dei cibi, bucato eccetera) sono destinate alle “donne di casa”, quelle viste invece come tradizionalmente maschili (riparazioni, auto, giardinaggio, gestione economica e cura degli animali, eccetera) sono per i “maschi di casa”.
Anche avere figli o fratelli dello stesso sesso o di sesso diverso influenza l’organizzazione familiare! La presenza di un fratello di sesso diverso si associa infatti in generale ad una maggiore specializzazione e segregazione dei generi, nell’idea di fondo che le attività abbiano un genere e che quindi possano essere più facilmente svolte dai figli il cui genere corrisponde a quello dell’attività (p.e. la figlia cucina, il figlio aggiusta il rubinetto che perde). Oppure si nota che in presenza di solo figlie femmine è più bassa la percentuale di padri che svolgono attività “femminili” come il cucinare, pulire, lavare, come se tra i due generi non ci potessero essere “contaminazioni” efficaci.
Questi sono naturalmente solo alcuni esempi di come nelle famiglie oggi il genere viene nella maggior parte dei casi concretamente vissuto e trasmesso.
Gli effetti dei modelli familiari sui figli
Ma quali sono gli effetti di questi modelli familiari sui nostri figli/figlie? Cosa possiamo modificare perché basato su stereotipi che non hanno un fondamento reale rispetto alle capacità e potenzialità nostre e dei nostri figli?
Se partiamo dal presupposto che i bambini e le bambine sviluppano una propria visione del genere osservando chi svolge i ruoli più importanti nella loro vita, possiamo capire quanto, per un’educazione libera e paritaria, sia importante che i genitori, pur con le reciproche differenze di approccio e individualità, giochino ruoli flessibili e intercambiabili. Quando i genitori ricoprono ruoli di genere improntati ad un maggiore egualitarismo, cosa che per esempio è più frequente quando la donna lavora, i bambini sviluppano una visione del genere meno stereotipizzata e più legata alle attitudini personali e individuali e tendono a mettere in campo in seguito comportamenti di genere più paritari.
Per fortuna, alcuni segnali di cambiamento si colgono nelle nuove famiglie, soprattutto nelle coppie in cui la donna lavora ed entrambi i partners hanno un titolo di istruzione elevato.
Perché è così difficile uscire dai ruoli?
Ma perché è così difficile, anche per chi è consapevole delle dinamiche sopra descritte, uscire da questi ruoli e copioni? Come abbiamo più volte detto anche nei post precedenti, la forza degli stereotipi è legata alla loro pervasività nella cultura e nei modelli che ci circondano e ci sono tramandati, costantemente e quotidianamente. Uscire da vecchi schemi, radicati in millenni di storia sociale, è difficile e soprattutto richiede alle persone un continuo sguardo su di sé, sul senso dei propri comportamenti, sulle limitazioni che a questi vengono imposti dall’educazione e dal mondo in cui siamo cresciuti piuttosto che da reali caratteristiche individuali. Ruoli chiari, definiti, senza ambiguità, non dimentichiamolo, ci rassicurano, ci indicano la strada, ci conferiscono “potere”, in casa per la donna e fuori casa per l’uomo. Cosa succederebbe se tutto questo venisse messo in discussione?
La strada per il cambiamento è fatta di consapevolezza, ricerca di modelli alternativi e flessibili, da sperimentare nelle nostre famiglie ma da veicolare e comunicare all’intera società. Non da soli ovviamente. Oggi i modelli di famiglia e di coppia sono pochi, spesso lontani dalla realtà concreta delle persone. E anche quando si cercano delle alternative, si rischia di cadere nello stereotipo contrario: penso alle definizioni che si danno per esempio agli uomini che si dedicano alla cura e all’accudimento dei figli (i “mammi”) o alle donne che puntano sulla realizzazione professionale e raggiungono posizione di potere (le “uome” o “donne con gli attributi”).
C’è in queste parole l’idea che non ci possa essere per l’uomo, un modo maschile di essere accudente, vicino, dedito alla cura o, per la donna, un modo femminile di gestire il potere e la realizzazione professionale, ma che questi aspetti debbano necessariamente passare dall’adattarsi o scimmiottare un ruolo che per definizione appartiene all’altro sesso, non a noi, e che non porterà che a perdere il valore della diversità individuale.
La sfida è mettere in campo, in coppia e in famiglia, per gli uomini e per le donne, sia il nostro lato “femminile” che il nostro lato “maschile”, dando così la possibilità ai nostri figli di vedere come questi aspetti si possano integrare in un’unica persona, non delegandoli ad un solo membro della coppia. Siamo plurimi, molteplici e anche contradittori: facciamolo vedere a chi vive con noi.
Ecco, con queste riflessioni, proviamo a guardare alla nostra famiglia, coppia e ai nostri figli per liberarci da condizionamenti limitanti. Magari con l’aiuto delle domande ed esperienze che seguono.
In pratica
Nella vostra famiglia, come sono suddivise le attività e i compiti nella coppia? Cosa spetta alla donna? Cosa all’uomo? E’ una suddivisione in linea con gli stereotipi prevalenti o su qualche area è alternativa a questi? Quali cambiamenti potete sperimentare?
Descrivete il lato “femminile” e il lato “maschile” che manifestate in famiglia
Rispetto ai vostri figli, che tipo di coinvolgimento chiedete nelle attività domestiche? E’ identico in quantità e tipologia di attività per maschi e femmine?
Identificate un’attività che tradizionalmente è considerata femminile e provate a svolgerla o a richiederla a vostro figlio: cosa succede? Come lo vedete? Adesso fate lo stesso con un’attività tipicamente maschile da proporre a vostra figlia.
Se vostro figlio è disordinato o non sa cucinare cosa gli dite? Come vi comportate? E se lo è vostra figlia? Provate a identificare frasi e indicazioni che non siano influenzate da stereotipi di genere.
Se vostro marito scegliesse di lavorare part time o di rinunciare al lavoro per accudire i vostri figli cosa pensereste (di voi e di lui)?
Se vostra moglie guadagnasse più di te e contribuisse in modo maggiore al mantenimento della famiglia cosa pensereste (di voi e di lei)?
di Annalisa Valsasina
photo credit: kinderfreunde / children friends via photopin (license) & pixabay
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