Il senso dell'educare - Mammeacrobate

Ci sono giorni in cui torno a casa svuotata. Svuotata fisicamente, mentalmente, emotivamente. Sono i giorni de “le cose non cambieranno mai, sei un’illusa, molla tutto, chi te lo fa fare”, in cui perdi un po’ il senso della parola “educare”.

Giorni in cui penso che non ne valga la pena, che è troppo difficile, che non conta quanti sforzi fai per trasmettere ai più piccoli rispetto, attenzione verso l’altro, empatia, per fargli capire che c’è un modo di vivere che va al di là della violenza fisica e verbale, dell’indifferenza, dell’esclusione.

È fisiologico, succede, fa parte dei rischi del mestiere, ma per quanto si sia abituati, quando arrivano, questi momenti riescono, anche solo per unattimo, a mettere tutto in crisi. A volte passano da soli, altre invece si ha bisogno di qualcosa che contraddica quella disillusione, che ricordi che il senso c’è, eccome.

Oggi è stato uno di quei giorni.  Intervallo. Tutti fuori in giardino a giocare. Entro in classe e mi accorgo di un gruppetto di bambine prese da un animato parlottio attorno ad un’altra compagna quasi in lacrime; mi fermo, fingendo qualche urgentissimo scartabellio, per capire cosa sta succedendo, anche se qualche idea, ce l’ho.

La conversazione continua e capisco che i miei sospetti sono fondati. E’ da un po’ che due delle loro compagne – di quelle insospettabili, con la scusa sempre pronta – hanno preso di mira alcune bambine del gruppo, le meno popolari, quelle per vari motivi più fragili. Prese in giro, scherzi e tentativi di disturbo di vario tipo, ogni giorno. A volte troppi.

“Cosa succede? Se è quello che penso, sapete come la vedo, ne abbiamo parlato tante volte” azzardo. Loro sanno cosa a cosa mi riferisco. Sono tre anni che mi sopportano e con me i miei discorsi sul sensodi solidarietà, sull’importanza di non accettare passivamente quello che accade perché non li coinvolge in prima persona. I discorsi de “l’unione fa la forza”, della capacità di sapersi indignare e insieme opporsi alle ingiustizie e alle prepotenze, perché insieme le cose ci fanno meno paura.

3 minuti e si muovono spedite verso il giardino, le seguo tenendomi a distanza. Il gruppetto circonda le due compagne, che le guardano incredule. A turno parlano tutte, una a una, con calma: “Basta, dovete piantarla di prendere in giro gli altri!”. “È facile quando si è 2 contro 1”. “ Perché non ve la prendete con noi?”. “E se lo facessimo noi a voi tutti giorni?”. “Come ci si sente a essere le più deboli? “.

Le due malcapitate non hanno la risposta pronta come al solito. Non se lo aspettavano. Stanno lì, immobili senza dire una parola e a me fanno una grande tenerezza. Non vorrei essere al loro posto.

Forse però questo è quello che serviva, perché fanno una cosa che mai le ho viste fare: chiedere scusa.  E penso che è arrivato il momento di intervenire.

“Come vi siete sentite? Immagino non vi sia piaciuto essere voi le vittime questa volta? Tutti possono sbagliare, anche io sbaglio con voi, ma l’importante è riconoscere i propri errori e provare a rimediare. Siete d’accordo?”. Annuiscono e dalle loro facce mi sembra proprio che abbiano capito.

Pace fatta, le guardo allontanarsi tutte insieme e non posso che provare una gioia immensa. Che lezione di vita! Per loro, ma soprattutto per me che torno a vederci un senso. Non è vero che è tutto inutile. Quel piccolo semino che a volte sembra andato perso ci mette del tempo ad attecchire, a mettere le radici e infine a germogliare, ma poi alla fine ci riesce.

Allora mi ricordo cosa significa “educare”. Vuol dire esserci, essere lì con loro nel bene e nel male.  Aiutarli a capire, passare loro quei valori che gli serviranno per essere adulti migliori, che non abbassano la testa, che non se ne fregano degli altri.

Allora la disillusione lascia il posto alla volontà di non mollare, di continuare a crederci nonostante tutto e tutti, perché in fondo in fondo lo hai sempre saputo che è così che deve andare, che  solo così le cose, un giorno, potranno davvero cambiare.

 

photo credit: mzeuner via photopin cc

Author

Acrobata per vocazione, una laurea in Lingue e Comunicazione, da oltre 10 anni mi divido tra le mie due grandi passioni: educazione e comunicazione, convinta che le due cose insieme possano fare la differenza. Da sempre in prima linea accanto ai bambini, agli adolescenti, alle mamme e ai papà, a scuola e in famiglia, ho lavorato e lavoro per diverse realtà del terzo settore occupandomi di diritti dei minori, cittadinanza attiva, intercultura, disabilità e fragilità sociale con l’obiettivo di contribuire a diffondere una cultura dell’infanzia e dell’adolescenza. Il mio sogno? Mettere al servizio dei genitori le mie competenze e professionalità, per supportarli nel loro ruolo educativo.

6 Comments

  1. Sofia Mattessich

    Formidabile applicazione della più importante strategia anti-bullismo: il gruppo dei pari può essere più forte del bullo.

    • Elisa Capuano

      Già! E quando vedi che la teoria si trasforma in pratica non puoi che essere piena di gioia e soddisfazione!

  2. E’ vero, capiamo perfettamente, dopo 10 anni in asili e sempre a contatto con i bambini. E’ un mestiere difficile, perché ogni giorno è ricco di imprevisti e perché parla di emozioni, quel qualcosa di tanto ricco ma fragile così difficile da plasmare a volte.
    E’ un mestiere quello dell’educare così complesso che contiene sempre nuove sfide. Però poi quando si raggiungono gli obbiettivi preposti si prova una gioia impagabile, no?!
    a presto
    Marta e Sara di MammeCheFatica.it

  3. Elisa Capuano

    Quanto avete ragione Marta e Sara…è difficilissimo e spesso dall’esterno non si riesce davvero a capire quanto! A volte avere a che fare con le loro vite e le loro storie, tutte una diversa dall’altra, mi sembra che mi sommerga, ma vedere quel semino – così come mi piace chiamarlo – che cresce,come dite voi è davvero impagabile!

    Grazie e a presto!

  4. ANNAMARIA GUERRINI

    mamma mia…ma chi sei? una maestra ovviamente, ci sono arrivata, ma non una maestra come tante altre tu sei un tesoro che sicuramente vorrei io per i miei due figli: vittorio 6 anni, prima elementare e maria 3emezzo prima materna. 2 inserimenti quest’anno…non voglio fare la mamma rompipalle e ansiosa per i propri “cuccioli” ma c’è da mettersi le mani nei capelli…
    empatia e passione. sono due ingredienti indispensabili per stare al mondo, secondo me, ma soprattutto per fare il mestiere che tu hai scelto di fare. un mestiere che si “sceglie” di fare…fra tanti altri…liberamente. mi hai commossa.
    grazie di esistere.
    annamaria

    • Elisa Capuano

      Grazie a te Annamaria, sei tu che mi hai fatto commuovere! A onor del vero non sono una maestra, ma un’educatrice che cerca di diventare una pedagogista. Per me fa poca differenza… perché penso che chi si occupa della didattica, quindi gli insegnanti, sono in primo luogo educatori, ma meglio precisare ;-). Nei miei oltre 10 anni di lavoro ho conosciuto educatori e insegnanti terribili ma anche tantissimi meravigliosi e ahimé penso che per le famiglie sia questione di fortuna trovare persone che facciano con il cuore (ma soprattutto con la testa) il loro lavoro, anche se non lo trovo giusto, perché abbiamo in mano un pezzettino di vita di bambini e ragazzi e dovremmo essere tutti capaci di capirlo e mettere in atto le giuste modalità. Non credo di essere speciale, ma solo una persona che ha messo sempre tutta se stessa in quello che fa, nonostante le delusioni (tante) e le difficoltà di un lavoro che non è solo gioie e sorrisi come molti si immaginano, ma che è pieno di insidie, coinvolgimenti emotivi e tanti altri fattori che spesso fanno male. Detto questo, ogni tanto mi viene voglia di mollare e come dice mia mamma “fare un lavoro più normale”, ma finché ce la farò sono qui pronta a lottare per un mondo a misura di bambini e ragazzi! Grazie davvero di cuore e in bocca al lupo per il percorso dei tuoi bimbi!