Perché i neonati vogliono stare sempre in braccio! - Mammeacrobate

Nonostante negli ultimi decenni la visione dell’infanzia e della maternità sia cambiata, capita ancora spesso alle neomamme di sentirsi rimproverare perché tengono troppo in braccio i loro bambini.

La critica più comune è che così li viziano. Si tratta di una convinzione del tutto errata, che però può rendere le mamme molto insicure, perché da un lato l’istinto dice loro di assecondare le richieste dei loro piccoli, dall’altro lato le critiche sono sempre in agguato.

Ci dimentichiamo troppo spesso che siamo animali: se osservassimo il comportamento degli altri mammiferi, ci accorgeremmo che tutte le madri tengono a contatto strettissimo e continuo i loro piccoli fin dalla nascita e per un tempo di settimane o mesi. A causa della dimensione del canale del parto, i cuccioli d’uomo devono nascere dopo nove mesi di gestazione, molto prima di aver raggiunto il livello di maturazione degli altri primati non umani.

Questo fa sì che siano estremamente vulnerabili e quindi i più dipendenti dall’accudimento materno: ciò di cui hanno più bisogno, e che con il pianto richiedono, oltre ovviamente al nutrimento, è contatto stretto, contenimento e rassicurazione.

Gli esperti parlano infatti di endogestazione per indicare i nove mesi di gravidanza, e di esogestazione, ovvero dei nove mesi dopo il parto, periodo in cui i cuccioli per crescere hanno bisogno di rimanere a stretto contatto con la madre come se fossero ancora in utero. Esiste ormai una mole notevole di studi che dimostrano come la costante privazione del contatto fisico ed emotivo (fatto di sguardi, di abbracci, di carezze, di solerti risposte al pianto materno) nei primi mesi ed anni di vita abbia ricadute anche drammatiche sulla crescita sia fisica sia psicologica dei bambini.

Cosa fare allora? E come rispondere alle critiche?

  • Non lasciatevi toccare dalle critiche di quanti dicono che tenendo in braccio i bambini li si vizia. E’ un pregiudizio senza fondamento, gli studi mostrano che è vero proprio il contrario, quindi rispondendo alle richieste di contatto del vostro bambino gli state offrendo il nutrimento giusto per il suo mondo emotivo e per la creazione delle sue autonomie.
  • Rispondere prontamente al pianto dei bambini nel primo anno di vita non è viziarli: gli studi mostrano come i bambini che vengono lasciati piangere nei primi 3 mesi, piangono di più tra i 9 e i 12 mesi. Al contrario, i bambini che non vengono lasciati piangere, oltre a piangere meno nell’ultimo trimestre del primo anno, sviluppano più rapidamente competenze linguistiche alternative al pianto.
  • Paradossalmente, i bambini spinti troppo presto verso l’autonomia tenderanno a rimanere più dipendenti. Al contrario, i bambini che hanno trovato la rassicurazione di un abbraccio ogni volta che lo hanno chiesto, avranno creato dentro di sé un nucleo di sicurezza interna che permetterà loro di diventare più autonomi.
  • Infine, sfatiamo una volta per tutte la storia che bisogna lasciare piangere i bambini perché così “si fanno i polmoni”: i polmoni non sono mica muscoli, che a sforzarli si sviluppano di più!

E ora, godetevi i vostri bambini… tra le braccia!
photo credit: limaoscarjuliet via photopin cc

Author

Psicologa e psicoterapeuta rogersiana, da diversi anni ho iniziato a lavorare con i neogenitori sia diventando insegnante di massaggio infantile, sia conducendo gruppi per genitori sull’educazione emotiva e su vari argomenti legati all’educazione e all’accudimento dei bambini, dalla nascita all’adolescenza. Sono profondamente convinta che sostenere i genitori nelle scelte educative, informare, spiegare, ma soprattutto ascoltare e accogliere dubbi, domande, fragilità, sia la strada più importante per promuovere il benessere dei nostri bambini e prevenire il crescente disagio infantile e adolescenziale. Nel mio lavoro porto la mia professionalità, ma anche la mia esperienza con i miei tre figli, gli errori fatti, i dubbi vissuti, le battaglie vinte. Perché non si può pensare di aiutare i genitori se ci si erge su un trono, ma solo se si condividono esperienze, fatiche, paure e soddisfazioni. Sito web: www.sentieridicrescita.com Facebook: https://www.facebook.com/pages/Sentieri-di-Crescita/ 653600438012603

23 Comments

  1. Pingback: Massaggio neonato: fa passare le coliche

  2. Non so… ho letto e riletto il post ma non riesco a togliermi diverse sensazioni: 1) la suddivisione perentoria tra la madre “che prende sempre il braccio il bambino perché sa quali sono i bisogni del figlio” e chi, altre madri comprese, “critica questo comportamento perché non sa ascoltare i bisogni del proprio figli”, con riferimento agli studi sugli “effetti della costante privazione di contatto”. Mi sembra un raffronto capzioso ed estremamente approssimativo se detto da una psicoterapeuta. 2) L’associazione unica del pianto del neonato alla voglia di contatto e di essere preso in braccio mi sembra riduttiva; il pianto è un linguaggio e lo sforzo di noi genitori deve essere quello di capire quale bisogno sta esprimendo nostro figlio in quel momento, non rispondere alle sue richieste con un gesto automatico (come il prenderlo prontamente in braccio o ficcargli la tetta in bocca). Proprio perché troppo spesso fatto come automatismo, tante mamme si ritrovano a tenere tutto il giorno il figlio in braccio solo per cercare di anticipare un pianto (che magari il figlio non aveva la minima voglia di fare), stanche e scoglionate. E sono loro le prime a lamentare che “mio figlio vuole sempre stare in braccio” quando invece è una loro difesa/esigenza/paura (per carità legittima e umana, ma non ha niente a che vedere con l’amore e capacità di creare un legame con il bambino. 3) Ci sono tanti riferimenti a “gli studi mostrano” ma al contempo l’assenza di qualsiasi fonte, che sarebbe interessante avere.
    Ecco, ho finito:) Detto questo, buonanotte!

    • Nora Massoli

      Cara Valeria, intanto grazie per il tuo sincero e appassionato commento al post: mi ha aiutato a capire quanto di quello che volevo dire è passato e quanto invece, nonostante le intenzioni, evidentemente non sono riuscita a far arrivare.
      Il mio post si rivolgeva a quelle madri che si sentono criticare perché prendono in collo i bambini quando questi richiedono contatto, che scelgono magari di portarli con la fascia o con il marsupio invece che nella carrozzina, che li tengono nel lettone o nella cullina vicino a loro anziché nel lettino in camerina fin da subito. Era un post per dire loro: “C’è un perché se i vostri bambini vi chiedono vicinanza, non è perché sono viziati, è un loro bisogno e non c’è niente di male ad assecondarlo, anzi!”. Era un invito a quelle mamme che hanno scelto questa modalità di relazionarsi al proprio figlio a non lasciarsi scoraggiare dalle critiche altrui. Non voleva essere assolutamente una spicciola classificazione tra madri che sanno ascoltare i bisogni del loro bambino e madri che non lo sanno fare, mi dispiace che possa essere sembrato questo. Lasciare piangere non significa non sapere leggere i bisogni di un bambino, casomai si tratta di scelte diverse riguardo a come rispondervi.
      Hai perfettamente ragione quando dici che prendere in braccio un bambino non può essere sempre LA risposta, così come non può essere sempre LA risposta attaccarlo al seno, per il semplice fatto che i bambini non hanno sempre e solo o fame o voglia di contatto. Il mio invito a non lasciare piangere i bambini è indirizzato a quei momenti in cui i piccoli mostrano il bisogno di contenimento e di contatto, e questo lo si capisce quando, una volta presi in braccio, smettono di piangere. Detto questo, far loro sentire la nostra presenza attraverso il contatto certo non può essere la sola risposta, ma l’inizio di un “dialogo” sì: quando un neonato piange, credo profondamente sia necessario rassicurarlo facendogli sentire che abbiamo sentito il suo richiamo e siamo lì, dopodichè dobbiamo capire di cosa ha bisogno e intervenire su quel bisogno specifico. Se il nostro intervento si limita sempre e solo al prendere in braccio e attaccare al seno fino a che il bambino non ha smesso di piangere (magari invece era stanco, o annoiato, o aveva caldo, o freddo, o il pannolino bagnato), non avremo probabilmente imparato a riconoscere cosa il piccolo via via chiede e forse avremo, in questo sono d’accordo con te, creato un’abitudine che rischia di costringere la mamma a passare le giornate sul divano con il piccolo in collo attaccato al seno senza poterlo mai mettere giù e vivendo con stanchezza e frustrazione i primi mesi dopo il parto.
      Mi scuso infine per la leggerezza con cui ho citato studi senza mettere i riferimenti bibliografici: d’ora in poi non mancheranno mai nei miei post, grazie per avermelo ricordato. Per quanto riguarda il tema dell’importanza del contatto tra madre e bambino nei primi mesi di vita, posso segnalare a te e a chi sia interessato ad approfondire l’argomento, il bellissimo libro della collega Alessandra Bortolotti “E se poi prende il vizio?”, che in un unico testo racchiude una imponente bibliografia sull’argomento e che quindi considero il suggerimento più adatto per la lettura.
      Detto questo, le tue parole mi hanno suggerito l’idea di scrivere dei post proprio sulle situazioni che descrivi tu, come quella dove la risposta unica e ripetuta del prendere in braccio o l’allattare sempre e comunque per non sentire il pianto anziché ascoltarlo e interpretarlo diventano abitudini che “imprigionano” le mamme. Situazioni che sono diverse da quella che descrivevo qui ma che sono ugualmente vere e importanti da affrontare.
      Nora Massoli

      • Alberto

        Ciao Nora, hai poi scritto il post sulle mamme “imprigionate”?
        Può condividere il link? Grazie!

  3. Pingback: Perché il mio bambino piange sempre?

  4. Pingback: Il contatto dei neonati con la mamma: un bisogno, niente altro | Strambafamiglia

  5. Che bello leggere questo articolo!
    Sono una mamma che ha scelto con il proprio compagno di crescere i figli ad alto contatto, e spesso, in questi 4 anni da genitori, ci sono state mosse critiche sul tenere troppo in braccio, sull’allattare troppo a lungo, sul sonno condiviso, sul portare e su tanti altri aspetti dell’educazione dei figli.
    Il lasciar piangere i bambini è qualcosa che mi turba profondamente…e quando sento dirmi che “tanto devono abituarsi” mi viene sempre da rispondere: “Tu, adulto, ti abitueresti a piangere di tristezza, di sconforto, di paura, di bisogno di coccole e comprensione essendo ignorato da tutti quelli che hai intorno e dalle persone a te più care?”.
    Grazie ancora per l’articolo. 🙂
    Valentina

  6. Pingback: Questi non sono consigli | Ma la notte no!

  7. Ho letto la tua risposta al commento, oltre al post. Brevemente: se insegni a tuo figlio che ci si addormenta in braccio, con canzoncina e cullata di mezz’ora, come pensi di uscirne, quando avrà due o tre anni? Io non capisco, ho sempre coccolato i miei figli, nutriti, ascoltati, assecondati. Ma, non voglio sentirmi schiava, nemmeno per i primi mesi. Probabilmente sono solo due vedute diverse, ma potrei andare contro gli studi che affermano che non prendono i vizi. Forse c’è un confine, sottilissimo, tra la consolazione e il vizio, che a volte non si coglie.
    A presto, momfrancesca.

    • Non sono d’accordo con te, semplicemente i bimbi cambiano abitudini. Ne ho due e lavorando su MammeAcrobate sento storie tutti i giorni che dimostrano la stessa cosa. La mia piccolina ha passato il suo primo mese di vita sempre in braccio, non mi sono sentita schiava, stavo bene nell’assecondare i suoi bisogno più che a non farlo (se la mettevo nel lettino si spaventava moltissimo e piangeva moltissimo, molto più pesante sopportare quel piano che tenerla abbracciata a me). Ora ne ha 5 e dorme nel lettino per ore, da sola.
      Non è un caso Francesca, l’ho vista proprio cambiare e crescere. Secondo me è solo una questione d’ascolto.
      Col primo ho fatto più fatica, perché cercavo di “imporgli” modi miei, convenzioni che davo per assodate “il bambino deve stare nel passeggino!”, quando ho smesso è cambiato tutto.

      • Sabina, i miei figli non sono problematici. Non li ho mai tenuti in braccio più delle coccole o del consolarli quando hanno un problema. Ma sono sempre stati nella loro culla, lettino e passeggino senza spaventarsi né piangere. Né io gli ho mai imposto il mio volere. Come seggiolino dell’auto. Tante mamme non li legano e mi dicono che “non riesco, piange si dimena vomita, allora lo tengo in braccio.” Non so, i miei figli si fanno legare tranquillamente. Quando ha fatto storie la grande, ormai un anno fa, le ho spiegato che era per la sua sicurezza, ha pianto qualche volta, ma ha smesso subito. Non vedo perché avrei dovuto assecondarla prendendola in braccio in auto o legandola con la cintura degli adulti, o peggio, lasciarla slegata in auto (come vedo moltissimi!). Poi prenderebbe subito l’abitudine. Credo, a questo punto, che siano dinamiche famigliari e personali in base alla mamma e ai bambini stessi. Non si può fare di tutta l’erba un fascio.

        • Ma certo che non si può fare di tutta un’erba un fascio, mi sembra che tu lo stia facendo non certo noi con questo post! Hai avuto dei bimbi che stavano bene anche nel lettino? Bene per te!
          Ma se non fosse stato così? Ti saresti chiesta il perché immagino…
          Forse non sai quante mamme ci scrivono chiedendoci perché hanno i bimbi che non dormono, o hanno i bimbi che non si addormentano da soli o cose del genere… Stiamo cercando solo di aiutarle a non sentirsi inadeguate dando degli spunti utili.
          Ogni bimbo è diverso, ogni mamma è diversa ed è sicuramente nella relazione tra mamma e bambino che si trovano risposte ed equilibri (sempre appunto diversi).

          • Purtroppo non posso rispondere alla tua domanda, perché non è stato così. Sono stata fortunata? sono stata brava? Secondo me, entrambe.
            Buona giornata, momfrancesca.

          • Nora Massoli

            Davvero non ci sono risposte giuste o sbagliate, nè tantomeno mamme o bambini giusti o sbagliati. Semplicemente equilibri diversi in ogni coppia genitore-bambino, modalità diverse,bisogni diversi no, sono sempre gli stessi i bisogni dei neonati, espressi diversamente e con diversa intensità però sì. I neonati, ammesso che li si possa sempicisticamente classificare, si dividono grosso modo tra bambini ad alto contatto (quelli che chiedono nei primi mesi di vita uno stretto contatto fisico, mostrando un forte disagio attraverso un pianto disperato al momento di essere posati su qualcosa che non sia un paio di braccia) e bambini a basso contatto, che forse hanno già una maggiore capacità di autoconsolarsi e si adattano di buon grado fin dalle prime settimane a ovetti, carrozzine e lettini vari. Nella mia esperienza sia professionale (in 8 anni di corsi di massaggio infantile ho incontrato decine e decine di mamme e neonati) sia personale di madre, rivedo confermata la mia idea.
            I miei primi due figli erano neonati ad alto contatto, che ho tenuto stretti a me finchè lo hanno richiesto (la prima per i primi due anni), difendendomi da critiche di ogni tipo. Posso dirti che la bimba, che tutti consideravano troppo attaccata a me e poco incline a socializzare con il resto del mondo, quando ha fatto il pieno di rassicurazione trovandomi sempre disponibile ad accoglierla, fatto il salto di crescita dei due anni è partita verso il mondo con un’autonomia straordinaria, inaspettata per i più ma non per me e mio marito, che avevamo capito che assecondare questa sua richiesta di rassicurazione non corrispondeva a viziarla o renderla più insicura, ma al contrario a darle le conferme che noi c’eravamo, in modo che quando si è sentita pronta si è staccata da sè ormai sicura della nostra disponibilità e presenza. Quando è arrivato il mio terzo bimbo ero pronta nuovamente a fare da marsupiale, viste le esperienze precedenti, invece è arrivato un bimbo a basso contatto che, per quanto io potessi offrire disponibilità al contatto costante, si sentiva sereno anche nel lettino o nella cullina senza richiedere la mia costante presenza pelle a pelle. Bambini diversi, richieste diverse, modi diversi di declinare il contatto genitore-bambino. Il mio terzo è un bimbo estremamente coccolone e affettuoso, semplicemente fin dalla nascita, a differenza dei fratelli, non avvertiva angoscia appena sentiva che io mi allontanavo. Io nel suo caso mi sono quindi comportata in maniera diversa rispetto ai primi due figli, semplicemente mi sono “tarata” sui bisogni e le richieste del mio piccolo, ognuna delle tre volte in maniera diversa a seconda del bambino che avevo vicino, come del resto anche tu hai fatto, Francesca, e come tutte le mamme fanno. Quando parlo di tenere a contatto i piccoli non sto criticando chi non lo fa perchè i suoi bambini non lo richiedono, sto cercando di invitare le mamme che hanno bambini ad alto contatto che richiedono la loro presenza stretta a non farsi mettere in crisi dalle critiche di chi dice loro che sbagliano ad assecondare la loro richiesta perchè li viziano. Sto cercando di far capire che è normale che alcuni bambini richiedano così tanto contatto, che non è una conseguenza di pratiche educative sbagliate. Sta ad ogni madre poi decidere come relazionarsi con il proprio piccolo.

  8. Pingback: Quando insegnare ai bambini ad avere pazienza?

    • A me certe mamme che dicono “sono stata brava” mi fanno ridere!! Esiste anche la natura che fa il suo, i bambini nascono già con un carattere secondo me. Il mio più grande ha sempre dormito, sempre sempre. Lo mettevo nel lettino e dormiva! Andavamo in giro e dormiva! Non solo con me, con chiunque!! Il secondo è sempre appiccicato, ha un anno e ancora si addormenta solo in braccio, a me. L’ho viziato? No. L’ho ascoltato, come ho ascoltato l’altro. Sono stata più o meno fortunata… se si può dir fortuna, in fondo mi sembra di godermi di più il secondo, anche se è più faticoso.
      E tutta questa gente intorno a farti sentire in colpa, compresi i mariti che di solito non capiscono niente e non sono per niente in “contatto” con i piccolini.

      A questo proposito posso chiedervi un consiglio? Come si crea un legame tra i piccolini e i papà, senza che soffrano troppo la mancanza della mamma? Cioè secondo voi ha senso lasciare i piccoli ai papà anche per qualche ora nei primi mesi?

  9. Ah! Dico sempre che quando si parla di politica, di calcio è meglio non discutere se dall’altra parte non abbiamo qualcuno che abbia la stessa idea….

    Ebbene, aggiungo fermamente, che all’elenco suddetto sono da aggiungersi anche le mamme!!! 😀

    Appoggio fermamente l’articolo ed il post di chiarimento come anche quei posts di mamme per l’alto contatto.

    Certo chi non allatta, chi non partiva co-sleeping&co., chi non effettua baby-wearing… è comunque una mamma al 100%. Se sono riuscite (e tutte riescono) a sopravvivere alle mille difficoltà senza aver “aderito” saranno state brave, fortunate ed i loro bimbi avevano l’indole giusta. Stessi requisiti dei figli cresciuti alla titta, nel lettone e nella fascia.

    Come mamma mi piace avere contatto con i cuccioli, averli nel lettone, nutrirli, abbracciarli e respirarli. Vengo etichettata perché non riesco a stare lontana da loro e rinuncio agli aperitivi, ai brunch, alle cene fuori…. pazienza!!!

    Ognuna è mamma a modo suo e nessuna deve e può criticare le altrui scelte.

    Penso che però questi articoli siano da pubblicare, premiare e mettere in risalto poiché sono di grande aiuto per le neo-mamme, per le mamme indecise, per le mamme dubbiose e confuse… sì sì sì fate bene a seguire il vostro istinto!!! Siamo mammiferi, siamo mamme e se sentiamo il bisogno di tenerli vicini o se loro ci reclamano è giustissimo che li assecondiamo.

  10. patrizia

    Io l ho fatto, non mi staccavo mai da mia figlia,facevo i lavori di casa con il marsupio,eppure oggi che ha 16 anni ha tanti problemi di personalità e inoltre non riesco piu a gestirla, tutto li è dovuto,mi minaccia,mi aggredisce è diventata insopportabile, e pensare che ero convinta che dare amore , comprendere e ascoltare fossero gli ingredienti per essere una buona madre,invece no,lo è stata piu mia madre che all occorrenza mi prendeva a berle e a calci,i genitori di una volta erano capaci a fare i genitori,ne ho la prova.

    • Nora Massoli

      Cara Patrizia, non mi sento di condividere la tua visione, tra i primi anni di vita e i 16 anni chissà quante cose sono successe per tua figlia. L’adolescenza può essere molto faticosa, a volte problematica, ma l’ascolto, l’amore e la comprensione continuano ad essere le basi per mantenere aperto il dialogo anche nel periodo della crescita forse più difficile da attraversare. Non ho elementi per capire cosa può essere successo tra voi, ma credo che se tu ti fermi a chiederti come ti sentivi di fronte alle sberle e ai calci di tua madre, scoprirai che quella non può essere l’alternativa. Può solo servire a tacitare quello che un figlio prova o pensa, zittirlo in nome di un rapporto di potere in cui il genitore ordina e il figlio ubbidisce. Certo,se non permettiamo ad un figlio di esprimere la sua rabbia, delusione, o frustrazione è più semplice e meno doloroso per noi genitori, ma in questo modo lo perdiamo, perdiamo il contatto con lui e con il suo mondo interiore. E quando lo tsunami dell’adolescenza sarà passato probabilmente faremo i conti con la delusione che gli abbiamo dato per non esser stati lì con lui nei suoi momenti più neri.

  11. Avendo avuto un bimbo gravemente prematuro tenerlo vicino a me e stata la chiave della sua salute ha dormito nel suo lettino in camera con noi fino ai 4 anni ora ne ha 5 e dorme da solo in camera sua non ha ancora dormito una notte nel lettone e quando ha iniziato l’asilo a 3 anni non ha mai pianto forse le tante coccole sono il segreto e rimaschisseto un coccolone pero rimpiango un po ip bebe che era e che mi piaceva coccolare e tenere in braccio 🙂

  12. Io sono una nonna giovane, ho un nipotino di 4 mesi. È ancora allattato al seno, la notte dorme 5-6 ore ma durante al giorno niente. Il fatto è che non né che sta lì buono piange e vuole stare in braccio. durante il giorno lo allatta ogni 3 ore poi se va via in macchina è buono ma non dorme mai. A passeggio lo stesso sempre occhi aperti. Maè molto nervoso. Secondo me dovrebbe dargli delle regole. come farà quando andrà al lavoro visto che poi lo devo tenere io

  13. Ciao Nora,
    lascio anch’io il mio commento in quanto mi è capitato, nell’immediato post partum del mio primo figlio, di dover difendere il legame appena creato con mio figlio dalle accuse di essere una mamma “troppo apprensiva”. Le considerazioni (permettetemi di dirlo) vittoriane secondo le quali il neonato deve essere reso indipendente ad una settimana di vita, con i suoi ritmi sonno-veglia precisi come un piccolo impiegato, fa molto comodo a tutti i membri della famiglia ma certamente non a lui. Io, piena zeppa di prolattina com’ero, sentivo molto forte l’istinto all’accudimento ed è stato molto brutto dovermi “difendere” in un momento così delicato. Io sono una conformista come persona, ma fidatevi: lasciare un neonato piangere da solo nelle prime settimane è innaturale, per lui e per la mamma. Non nego di aver sentito moltissima ostilità nei confronti del mondo intero. A casa dal lavoro, ho avuto paura di dover dipendere da persone che non potevano – per scarsa competenza – fare il bene di mio figlio semplicemente perchè non avevano, come me, l’istinto naturale all’accudimento. Mi ci è voluta molta razionalità per tornare in me e dirmi che in fondo ero io solamente a decidere e non dovevo per forza ascoltare delle banalità. Avrei solo voluto che non mi mettessero in questa brutta situazione che mi ha causato molto disagio.

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