Dislessia: come riconoscerla e cosa può fare un genitore?

La scuola è frequentata da studenti molto diversi tra loro per motivazione, stile di apprendimento, capacità di attenzione. Non tutti sono a proprio agio nel seguire il modo e il ritmo delle lezioni tradizionali in classe e alcuni manifestano difficoltà in ambiti definiti.  La dislessia è un disturbo specifico dell’apprendimento che riguarda la lettura, cioè l’abilità di decodifica di un testo scritto e quindi la capacità di leggere e scrivere in modo corretto e fluente. Un bambino dislessico impara a leggere e scrivere, ma non riesce a farlo in maniera automatica; impegna quindi tutte le sue energie e si stanca velocemente, rimane indietro, commette errori.

Cosa sono i DSA?

I disturbi specifici dell’apprendimento (comunemente chiamati DSA), comprendono anche la disortografia, che riguarda la scrittura in termini di errori ortografici; la disgrafia, che riguarda la scrittura in termini di grafia poco leggibile, e la discalculia, che riguarda numeri e calcoli. Dato che la dislessia è il disturbo maggiormente diffuso e più conosciuto nella quotidianità, si usa spesso questo termine per indicare genericamente anche gli altri DSA.

La dislessia non è una malattia, bensì una caratteristica del modo di apprendere, di origine neurobiologica, che non intacca il funzionamento intellettivo generale. I bambini dislessici sono intelligenti e, di solito, anche molto creativi e vivaci.

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I genitori come possono riconoscere la dislessia?

Il primo campanello d’allarme è sicuramente una difficoltà inaspettata nell’acquisizione della lettura e della scrittura, che crea disagio a livello scolastico, fin dal primo anno. In particolare, il bambino dislessico compie spesso errori tipici, come invertire lettere e numeri o sostituire lettere: m/n, b/d, a/e, v/f . Il bambino può inoltre:

  • far fatica a imparare informazioni in sequenza come le lettere dell’alfabeto, i giorni della settimana o i mesi;
  • non riuscire a imparare le tabelline;
  • far confusione in ambito spaziale e temporale: destra/sinistra, ieri/domani;
  • avere difficoltà in alcune abilità motorie come vestirsi, svestirsi, allacciarsi le scarpe;
  • far fatica a esprimersi verbalmente.

Quali gli indicatori che fanno pensare alla dislessia?

Nell’ambito dei primi anni della scuola primaria, dai 5 ai 7 anni di età, ci sono alcuni indicatori che possono far sospettare la dislessia, come:

  • la difficoltà a separare le parole in suoni e a ricostruirle partendo dai suoni;
  • la pronuncia difficoltosa di parole lunghe e/o nuove;
  • la mancata scrittura di lettere nelle parole o errori nell’ordine delle lettere;
  • una lettura lenta, faticosa e priva di espressività, soprattutto ad alta voce;
  • difficoltà a mantenere il segno nella lettura;
  • difficile comprensione di ciò che legge, che migliora quando ascolta qualcuno che legge il testo per lui;
  • difficoltà a leggere le lancette dell’orologio, a copiare lettere e parole, a pianificare e organizzarsi;
  • sensazione che le lettere si muovano sul foglio quando legge;
  • maldestra impugnatura della penna;
  • scrittura poco leggibile, che a volte lui stesso non riesce a comprendere.

Una tipica situazione in cui i genitori possono riconoscere questi elementi sono i compiti a casa, che il bambino dislessico avrà diverse difficoltà a eseguire nei modi e tempi stabiliti.

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Dislessia, perché la diagnosi precoce è importante

È fondamentale riconoscere precocemente questi indicatori per procedere a un accertamento, che, nel caso della dislessia, può portare a una diagnosi, che può essere fatta a partire dal secondo anno della scuola primaria. La diagnosi precoce è essenziale, perché la dislessia è un disturbo cronico che può compromettere l’intero percorso scolastico della persona.
Un intervento tempestivo e un’adeguata modalità nell’affrontare la dislessia portano a ridurre l’entità del disturbo, a sperimentare un migliore rendimento scolastico e, in generale, una migliore qualità di vita.

Un mancato o tardivo riconoscimento del disturbo, infatti, può portare a un abbandono prematuro del percorso di studi, durante la scuola secondaria di secondo grado, e a un inadeguato sviluppo delle potenzialità sociali e poi lavorative del soggetto.

Talvolta la dislessia può essere confusa con altri disturbi e il ragazzino dislessico può essere considerato come uno studente semplicemente svogliato e poco attento, situazione che, in realtà, è la conseguenza e non la causa del disturbo. Una dislessia non riconosciuta, infatti, porta il bambino a sentirsi frustrato, inadeguato e ad avere una scarsa autostima, in quanto si percepisce meno bravo dei suoi compagni di classe nelle attività didattiche.

dislessia come aiutare bambino

Cosa fare quando si sospetta la dislessia?

Quando i genitori hanno un concreto sospetto di DSA, il primo passo utile da compiere è quello di parlare con gli insegnanti, con cui confrontarsi sulla necessità o meno di compiere il passo successivo, cioè rivolgersi alla neuropsichiatria infantile di una struttura ospedaliera per procedere con gli accertamenti. A questo punto un team di neuropsichiatri, logopedisti, psicologi e psico pedagogisti sottopone il bambino a una serie di test standardizzati a livello nazionale, in cui emergeranno le difficoltà oggettive del bambino.

Nel caso in cui si arrivi a individuare effettivamente la dislessia la famiglia, in possesso della diagnosi, ritornerà a scuola per iniziare una collaborazione con gli insegnanti del bambino, per favorire nel miglior modo il suo successo scolastico.

Scuola e dislessia: l’importanza della collaborazione con gli insegnanti

I bambini dislessici solitamente seguono lo stesso programma della classe, con alcuni accorgimenti relativi alla definizione degli obiettivi da raggiungere, alle misure compensative e dispensative da adottare e alle modalità di verifica e valutazione. Tutti questi aspetti saranno indicati nel Piano Didattico Personalizzato del bambino (il PDP), stilato dai docenti e reso noto alla famiglia, in modo che tutti i soggetti coinvolti possano dare il miglior contributo possibile.

A scuola i docenti faranno il lavoro che compete loro, concedendo per esempio all’alunno:

  • più tempo per svolgere le attività e le verifiche;
  • l’impiego di software di videoscrittura, con caratteri adatti;
  • l’utilizzo della sintesi vocale, ossia di un programma che legge il testo per il bambino;
  • audiolibri;
  • mappe concettuali per meglio memorizzare le informazioni e coglierne i nessi.

Questi appena citati sono strumenti compensativi, cioè strumenti utili a guidare il bambino verso l’obiettivo da raggiungere e compensare il deficit. Non sono quindi scorciatoie per evitare di impegnarsi, ma aiuti essenziali per rendere proficuo il percorso scolastico del bambino. Per questo motivo, tali strumenti vanno adottati anche dai genitori, a casa, o da chi aiuta il bambino nei compiti.

Cosa può fare un genitore per un bambino dislessico?

  • È inutile e controproducente motivare il bambino dicendo:

“Stai attento!”

“Guarda meglio!”

“Leggi meglio!”

Molto meglio proporre gli strumenti compensativi di cui ha bisogno, dargli tempo e tranquillità. Teniamo presente che l’ansia condiziona la prestazione, che è sempre un intreccio tra informazioni possedute e vissuto emotivo, quindi cerchiamo di ridurla al minimo!

Seguendo il bambino nei compiti si noterà che ha bisogno di tempo per elaborare le informazioni e produrre la risposta richiesta; questo può provocare una distorsione nell’output di risposta, che spesso viene quindi frainteso, con grande frustrazione per il bambino, e senso di impotenza per il genitore che desidera aiutarlo.

La dislessia rende inoltre molto distraibile il soggetto, che non riesce a concentrarsi su nulla di preciso proprio per la difficoltà nell’elaborare precisamente quello che gli viene richiesto.

  • Fondamentale è aiutare il bambino a riconoscere le proprie modalità di apprendimento, spiegandogli con parole semplici e chiare quali sono le sue difficoltà e come si possono ridurre, sostenerlo nell’ esercitare l’autocontrollo e la capacità di revisione del lavoro svolto, che al bambino dislessico comporta molta fatica.
  • Un’attività consigliatissima è quella di leggere al figlio, più spesso e più a lungo possibile. Perché?

Il bambino in questo modo potrà:

– ampliare il lessico;

– udire parole pronunciate in modo appropriato;

– imparare ad amare i libri e la cultura;

– conoscere i libri che leggono i coetanei;

– apprezzare un’attività conoscitiva senza la pressione scolastica.

  • Parlate con vostro figlio e ascoltatelo. La dislessia influenza il rendimento scolastico ma anche la personalità: il bambino può sentirsi diverso e inferiore agli altri, sperimentando dei vissuti che vanno ascoltati e accolti, soprattutto in famiglia, dove i ragazzi hanno estremo bisogno di sentirsi accettati per come sono davvero e non giudicati.
  • Mettete in risalto i suoi punti di forza. I bambini dislessici hanno bisogno ancora di più di sperimentare il successo in qualche attività extrascolastica, in cui possano sentirsi davvero in gamba, bravi come e magari di più di altri coetanei. Questo sarà un vero toccasana per la loro autostima. Tra l’altro è utile ricordare che la dislessia spesso si associa a caratteristiche positive, come:

– Pensiero per immagini;
– Creatività e curiosità;
– Facilità di apprendimento dall’esperienza;
– Capacità di cogliere connessioni inusuali tra le informazioni;
– Capacità di vedere le cose da diverse prospettive.

In sostanza, il ruolo preziosissimo del genitore è quello di rendere chiaro al figlio, nelle attività quotidiane, che la dislessia è una caratteristica del suo apprendimento che lui non può cambiare, ma che può imparare ad affrontare, risolvendo i problemi che potranno presentarsi per ottenere il meglio dal percorso scolastico e per realizzare il proprio progetto di vita secondo le migliori aspettative.

 

Diritto d’autore: bialasiewicz / 123RF Archivio Fotografico
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Author

Insegnante, autrice e blogger fondatrice di mammeimperfette.com, mamma entusiasta, e a tratti ancora incredula, di Fabio e Marco. Appassionata e avida studiosa di autostima per bambini, ne scrivo spesso sul mio blog e ho raccolto i consigli pratici più efficaci per svilupparla nell'ebook “Mamma, io valgo!” e nei video del Percorso Aiedi. “Aiedi” è l'approccio che seguo per accompagnare i miei figli nella crescita, in cui autostima, intelligenza emotiva e autodisciplina sono le tre risorse indispensabili da favorire nei bambini per aiutarli a crescere sicuri di sé, autonomi e capaci di essere felici. Due maternità nel giro di 18 mesi mi hanno cambiato la vita, in meglio, e mi hanno portato a riflettere su chi volevo davvero diventare “da grande”. Decisamente imperfetta e con tanta voglia di migliorare, sono convinta che se vuoi che le cose cambino, tu devi cambiare.

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