Baby blues e depressione post parto: che differenza c'è?

Dopo aver parlato nelle scorse settimane di salute e benessere durante la gravidanza, concentrando l’attenzione su come accorgersi dell’insorgenza di un’eventuale depressione e di come è possibile intervenire, oggi affrontiamo il delicato tema del post parto.

Lo facciamo insieme alla Dottoressa Alessandra Bramante, psicologa e psicoterapeuta, tra le esperte di Un sorriso per le Mamme, la campagna promossa da O.N.Da – l’Osservatorio Nazionale sulla Salute delle donne,  nell’ambito del progetto Depressione Post Partum, nato proprio con l’obiettivo di  aumentare la consapevolezza sul tema e di fornire  un aiuto concreto a tutte quelle donne che stanno vivendo un momento di difficoltà.

 

Dottoressa Bramante, che differenza c’è tra la depressione post parto e il baby blues? Come distinguerle?

Per le donne i primi giorni che seguono la nascita di un figlio sono un periodo ricco di sollecitazioni psicologiche e affettive, ma anche neuroendocrine ed ormonali.

La maggior parte delle neo-mamme risponde adeguatamente a questi cambiamenti e vive positivamente l’esperienza del parto e del post partum. Alcune donne invece presentano, in termini non patologici e transitori, crisi di pianto, oscillazioni dell’umore, senso di inadeguatezza e labilità emotiva.

Tale condizione viene chiamata Baby Blues e si manifesta nei primi 10-15 giorni dopo il parto, e tende a risolversi spontaneamente. Si manifesta circa nel 50-80 % delle donne.

I sintomi principali sono lievi sintomi di tipo depressivo quali:

  • pianto
  • tristezza
  • umore labile e fluttuante
  • scarsa concentrazione
  • irritabilità
  • ansia
  • paura
  • disturbi del sonno e dell’appetito.

Se i sintomi continuano oltre i 10-15 giorni e non si risolvono si potrebbe trattare di una depressione post partum.

La depressione postpartum colpisce circa il 10-15% delle donne durante il primo anno di vita del bambino. Può manifestarsi subito dopo il parto, con maggiore frequenza 4-6 mesi dopo il parto.
 Rispetto alla baby blues che è una condizione benigna causata dalla brusca caduta dei livelli estro progestinici, la depressione post partum è una patologia da non sottovalutare. E’ importante riconoscerla in tempo e questo permette una remissione dei sintomi in tempi contenuti.

Se trascurata rischia di diventare una depressione grave, che incide non solo sulla donna ma anche sulla sua relazione con il bambino, con il partner e con la famiglia.

I sintomi principali sono:

  • umore depresso
  • riduzione della capacità di provare piacere
  • modificazione del peso
  • alterazioni del sonno
  • affaticabilità o mancanza di energie
  • isolamento
  • senso di colpa
  • perdita della libido
  • bassa autostima
  • riduzione della concentrazione

Le mamme con depressione postpartum possono anche presentare una ideazione depressiva rispetto al ruolo materno che si esprime con:

  • percezione di esser incapaci di prendersi cura del figlio
  • paura e insicurezza nella gestione del bambino
  • sentimenti ambivalenti o negativi verso il figlio
  • percezione di isolamento dal contesto familiare

Distinguere la baby blues dalla depressione post parto non è difficile: la prima si manifesta nella prima settimana dopo il parto ed è caratterizzata da forti pianti senza motivo, tristezza, irritabilità, ansia, ecc. e si risolve completamente entro massimo 15 giorni dopo il parto. La depressione invece esordisce dopo, ha sintomi più gravi e che durano per lungo tempo se non si interviene.

Quali consigli si possono dare ai familiari delle donne affette da depressione post parto? Quali gli errori da evitare?

Le figure che vivono con la donna hanno un ruolo molto importante. In primo luogo perché possono capire se la donna sta male, soprattutto nei casi in cui la mamma sta così male da non riuscire a chiedere aiuto. Inoltre possono essere di sostegno quando la donna sta male, aiutandola nella gestione del bambino e della casa.

La cosa più importante è chiedere aiuto ad uno specialista, senza pensare che sia una cosa disonorevole o vergognosa. Io dico sempre alle mie pazienti che:

“la testa si ammala come si ammala un ginocchio. La differenza è che dall’ortopedico si va subito e con animo sereno, dallo psic… si va quando non ce la si fa più e con vergogna e tanta paura. Ancor più se sono diventata mamma da poco.”

Intervenire tempestivamente vuol dire non far perdere alla mamma dei momenti “importanti e belli” della maternità (noi la chiamiamo “il ladro che ruba la maternità”) che non ritorneranno più, vuol dire aiutare la relazione tra la mamma ed il bambino e fare “del bene” a tutta la famiglia.

L’errore più comune che si rischia di commettere è quello di scambiare la depressione per pigrizia e cercare di stimolare la donna con frasi del tipo:

“Dai che sei forte e ce la fai anche questa volta”

“Cerca di darti una mossa, tutto ti va bene, il bambino è bello e sano e tu non sei felice?”

Queste frasi fanno sentire la mamma ancora più in colpa ed inadeguata, e ciò aggrava la sintomatologia. E’ importante validare l’emozione che la donna sta provando e chiedere aiuto. Dobbiamo iniziare a pensare alla maternità non solo come momento di estrema gioia ma anche come momento di crisi che può portare a stare molto male e a volte anche a non amare i nostri bambini. Se sappiamo che ci possiamo sentire così, e non perché siamo delle cattive mamme, ma soprattutto che ci sono esperti che ci possono aiutare, questo ci fa stare molto meglio.

E noi non potremmo essere più d’accordo con la Dottoressa Bramante che ringraziamo per questo prezioso consulto.

Le mamme cattive non esistono, esistono solo mamme che possono e devono essere aiutate nel migliore dei modi.

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photo credit: Lucas takes a nap on Leilani’s shoulder via photopin (license)

Author

Acrobata per vocazione, una laurea in Lingue e Comunicazione, da oltre 10 anni mi divido tra le mie due grandi passioni: educazione e comunicazione, convinta che le due cose insieme possano fare la differenza. Da sempre in prima linea accanto ai bambini, agli adolescenti, alle mamme e ai papà, a scuola e in famiglia, ho lavorato e lavoro per diverse realtà del terzo settore occupandomi di diritti dei minori, cittadinanza attiva, intercultura, disabilità e fragilità sociale con l’obiettivo di contribuire a diffondere una cultura dell’infanzia e dell’adolescenza. Il mio sogno? Mettere al servizio dei genitori le mie competenze e professionalità, per supportarli nel loro ruolo educativo.