Si può avere tutto nella vita? La storia di Gheula - Mammeacrobate

si può avere tutto? la storia di GheulaIn questo spazio che abbiamo chiamato Siamo Acrobate parliamo sì di mamme ma soprattutto di donne, di acrobazie, di vita, di lavoro, di fatiche e di gioie. Oggi a raccontarsi è una donna che abbiamo avuto il piacere di “conoscere” grazie alla rete, che ci ha raccontata la sua storia e che abbiamo invitato a raccontarla a tutti voi, perché il suo coraggio e la sua volontà di cambiamento possano essere contagiosi!

 

Mi chiamo Gheula.  In ebraico significa libertà.  Forse è per via di questo nome che mi sono trovata ogni tanto, nella mia vita, ad alzare la voce e battermi per cose che mi sembrano fin troppo ovvie. Lotte che pensavo tutti avrebbero intrapreso. Invece, chissà perché, là fuori regna spesso il silenzio. O forse, come dice un proverbio ebraico, se D-o ti ha messo in quel posto in quel determinato momento, lì devi fare la differenza.

Ho 41 anni, n figli (non è un errore di battitura!), una laurea in Economia e un passato da docente universitaria. Ho scelto la facoltà in base alla possibilità di conciliare l’obbligo di frequenza con le esigenze di chi mi aspettava a casa. Ho accantonato medicina e il mio sogno di poter aiutare le persone a vivere meglio e ho optato per una strada più tranquilla.

Anche così la vita era tutta una corsa, dietro a cose che spesso sembravano sfuggirmi di mano, lasciando tracce indelebili nello scomparto dedicato ai sensi di colpa. Volevo però dimostrare di potercela fare, di riuscire a tenere tutto in equilibrio, lo studio prima, il lavoro poi. Anche se qualche volta l’equilibrio era molto instabile.

È stata una lotta molto dura, soprattutto durante il periodo lavorativo. Per i colleghi ero la mamma, con tanti figli ad aspettarmi in casa. Ero diversa, spegnevo il computer alle quattro, non rimanevo agli after hour. Osservavo in silenzio i nuovi arrivati avanzare più velocemente di me, mi venivano sbattute porte in faccia solo per via delle mie scelte di vita privata.

E così, un giorno, all’inizio di un’altra gravidanza, ho deciso di lasciare il lavoro. Però sapevo. Che tutto quello che avevo vissuto, non poteva essere venuto per nulla. Tutte le esperienze vissute dovevano avere un significato più profondo.

E così ho iniziato a scrivere. A buttare giù parole, a costruire un personaggio che incarnasse dentro di sé le giornate della maggior parte delle donne italiane. Ci sono voluti sette anni per arrivare a una stesura della quale non mi vergognassi. L’ho dato da leggere ad amiche e conoscenti. Ma non mi sembrava mai di avere tra le mani una stesura degna di “là fuori”. Poi un giorno un’amica mi ha chiamato. “Gheula”, mi ha detto alternando singhiozzi a soffiate di naso, “se avessi letto il tuo libro venti anni fa forse oggi la mia vita sarebbe diversa”. La mia amica non ha figli. Ma fino a qual momento pensavo fosse una sua scelta. Ha creato dal nulla un’azienda importante, pensavo fosse appagata. Le sue parole mi hanno fatto sentire come un medico che ha appena trovato la cura per una malattia diffusa.  Troppe donne rinunciano a costruire la propria famiglia per poter avanzare professionalmente. Troppo madri rinunciano a ciò che sanno fare per allevare i propri figli. Troppe poche persone sanno cosa sta dietro a tutte queste scelte, ai dilemmi continui che la parte femminile dell’universo affronta ogni giorno. Ai pregiudizi a cui si è soggetti, se si appone una ‘x’ accanto alla F quando si deve indicare il proprio sesso.

Appena ho chiuso il telefono con la mia amica, ho messo  il libro in vendita su Amazon.

È un libro in cui si parla di una ragazza ebrea milanese di 19 anni che esce con un ragazzo a scopo di matrimonio (si chiama shidduch) e decide di sposarsi. La madre, una ex sessantottina che spolvera ogni mattina il proprio diploma di laurea,  si oppone con tutte le proprie forze. “È come se provassi a creare una miscela di acqua e olio. Lavoro e famiglia. Potrai continuare a mescolare con tutte le tue forze. Prima o poi uno dei due sovrasterà l’altro”. Eppure Deb, la protagonista, non vuole credere che non potrà realizzarsi professionalmente solo perché si sposa e mette su famiglia. Andando avanti, sfogliando la propria vita ogni giorno, capirà che invece, in Italia, succede molto spesso. Le donne devono, di fronte al bivio lavoro o famiglia, scegliere. Anche se non vogliono farlo.

Ho scritto questo romanzo perché sogno per le mie figlie un domani diverso. In cui, per farsi strada, non dovranno rinunciare a una parte di sé.

L’ho intitolato “(Non) si può avere tutto” mettendo il ‘non’ tra parentesi.

Una parentesi che vuole infondere coraggio. In molti provano a demolire noi donne lungo la strada. A guardarci con un’aria un po’ compassionevole mentre spingiamo una carrozzina, una biciclettina e cerchiamo di non farci scappare di mano libri e ventiquattrore.

Ma non per questo ci dobbiamo arrendere.

Dobbiamo comunque, nonostante quel ‘NON’ che ci vogliono imporre, provare a emergere.

Non grazie alle quote rosa.

Ma grazie a reali opportunità.

Grazie alle nostre reali capacità.

 

La mia scelta poteva ricadere su un silenzio tranquillo, sulla ricerca magari di un posto di lavoro meno prestigioso ma più comprensibile verso di me. E invece ho optato di provare, attraverso le pagine del mio romanzo, a dare un contributo alla ricerca. Di un mondo che non rimanga solo un sogno notturno. Ma che si trasformi più prima che poi, in un posto adatto alla realizzazione di qualsiasi persona. A prescindere da quanto sia lungo il suo stato di famiglia.

 

di Gheula Canarutto Nemni

 

Il romanzo lo trovate su Amazon a 0.99 centesimi

Un’altra battaglia che sto intraprendendo è quella con le case editrici che pretendono di appiattire il livello di pensiero degli italiani. Ma di questo parlerò magari la prossima volta…

 

 

Immagine in apertura

photo credit: AlicePopkorn via photopin cc

Author

Mammeacrobate.com è un portale di informazione e confronto su maternità e genitorialità, uno spazio nel quale le mamme si raccontano e si scambiano consigli, racconti ed esperienze di vita grazie alla collaborazione con professioniste che mettono a disposizione di altre mamme e donne le loro competenze e grazie a mamme che si raccontano per socializzare problematiche o stralci di quotidianità.

2 Comments

  1. bruno dalessandro

    Scusa Gheula per l’esoerdio su Facebook: – Ma che Bestie siete.- E’ riferito agli ebrei in generale,in particolare a quelli della romaCER rav di segni in testa e pacifici.Sono più vecchio di te e aono sposato da 28 anni con una che è possibile definire ” donna di valore”
    Figlie due,ormai adulte o pressappoco,uma laureanda in Architettura,la laurea breve ce l’ha,l’altra quest’anno
    si diploma tecnico biologo.
    Mia moglie lavora,io perso il mio lavoro da metalmeccanico,per tenere in piedi ed in equilibrio la mia famiglia,ho fatto il mammo e praticamente non ho più lavorato,anche perché sono contaminato amianto e vieni bollato.Naturalmente sto a reddito zero,ma casa ce la siamo pagata con duri sacrifici etc.Leggo che scrivi D-o in questo modo,m’è venuto da pensare all’assunto:- Il principio di ogni Sapienza è nel timor di D-o.Sono credente e anni fa chiesi di diventare ebreo.Non sono mai venuto meno a questa intenzione,ma ancora oggi,non riesco a farmi capire.Mia moglie non vuole saperne e ritiene di rimanere cattolica.
    Morale della favola,con la diligenza del buon padre di famiglia,ho fatto la mamma,naturalmente ho sempre cucinato io a pranzo,fatto la spesa ed altro,
    salvo riacquistare nel talamo coniugale la mia funzione specifica di maschio e padre,se permetti non ho mai confuso i ruoli,ho solo dovuto esaltare la mia componente femminile,preferisco parlare di sensibilità,poichè aborro l’omosessualità,queste persone mi provocano disgusto,penso soprattutto alla omosessualità maschile,quando penso ai rapporti intimi,penso alla puzza,e mi fa letteralmente schifo.L’omosessualità femminile la sento meno repellente,fatto salvo il diritto alla vita di ogni essere umano.
    D-o conta le lacrime delle donne,è nella kabalà ed anche in un film dal quale ho mediato la frase.Anche se non esprimi compiutamente il tuo pensiero,penso che al mio pari,sia tempo di restituire alla donna il suo ruolo di moglie e madre.
    Gran parte degli squilibri che vive la nostra moderna società dipendono proprio dal voler snaturare il ruoli:è la donna che costruisce la casa,o no? Ti saluto.bruno

  2. bruno dalessandro

    per il momento sto fermo ad hatikva.Bel nome Gheula.
    Scusa l’aggiunta.