"Contro gli asili nido", intervista all'autrice Paola Liberace - Mammeacrobate

copertina del libroEsiste un’alternativa alla decisione (quasi sempre sofferta) di separarsi dal proprio figlio per 8 o 9 ore al giorno delegando la sua cura ad altre persone e in altre strutture (che non sono la sua casa)? Può l’aumento di servizi per la prima infanzia come gli asili nido, risolvere da solo il problema dell’occupazione femminile e dei genitori lavoratori? Imprese e datori di lavoro come gestiscono l’assenza delle lavoratrici per maternità e poi le loro esigenze legate alla cura dei figli?

Di questi argomenti ne abbiamo parlato con Paola Liberace, autrice del libro “Contro gli asili nido. Politiche di conciliazione e libertà di educazione” (che è anche un sito web) nonchè una mamma lavoratrice che ha deciso, dopo la nascita dei suoi bambini, di far sentire la sua voce riguardo a temi caldi quali la conciliazione, la flessibilità e le politiche di sostegno ai lavoratori con figli.

Contro gli asili nido è un titolo molto forte. Perchè hai deciso di scrivere questo libro e di intitolarlo proprio così?

E dire che ho due bimbi al nido! Certo, l’asilo nido è un obiettivo polemico difficile. Nell’immaginario collettivo rappresenta la quadratura del cerchio, la soluzione ideale per conciliare lavoro e famiglia. In realtà, più che di conciliazione, si tratta di una rinuncia: il nido, nato come sostegno ai genitori lavoratori, è sempre più spesso inteso come un sostituto, che ne fa le veci fin dall’età neonatale, per quasi tutta la giornata, per l’intera delicata fase della prima infanzia.

E’ così che le misure di conciliazione vengono interpretate da larga parte dell’opinione pubblica e del mondo lavorativo: una delega pressoché totale di uno dei due termini – la famiglia – in favore dell’altro – il lavoro. L’unica alternativa possibile, altrettanto netta, è fare a meno del lavoro, per chi se lo può permettere. Una logica che personalmente non ero e non sono disposta ad accettare: per me, la libertà di scelta, soprattutto in tema di educazione dei figli, dovrebbe essere intoccabile. Scegliendo il titolo per il mio libro, dopo aver incassato il rifiuto della domanda di part-time, volevo essere il più possibile chiara: i nidi non sono la soluzione ideale, e forse una soluzione ideale nemmeno esiste, se continuiamo a pensarla nell’ottica della delega e della rinuncia.

Quali difficoltà hai incontrato nel mondo del lavoro nel momento in cui sei diventata mamma?

Dopo la maternità le mie priorità sono decisamente cambiate: non nel senso di una svalutazione delle aspirazioni lavorative, ma in quello di una rivalutazione di altre aspirazioni, personali e sociali, e del loro significato per il futuro. Il mio principale problema è stato, ed è tuttora, quello di tradurre questo mutamento di priorità in una forma accettabile non solo per me, ma anche per l’organizzazione lavorativa.


Come riesci oggi a conciliare lavoro&famiglia?

Mi sono proposta di dedicare alla mia famiglia una parte significativa delle mie energie e della giornata, senza deroghe se non occasionali. In assenza di una flessibilità lavorativa che mi consenta di far convivere questo obiettivo con quelli professionali, ho dovuto adeguarmi alla rigidità che ho incontrato e stabilire un limite netto, anche temporale, tra l’uno e l’altro dei miei ruoli. E poi, fare la spola tra l’uno e l’altro, come tutte le mamme acrobate

Per fortuna mio marito beneficia di una flessibilità maggiore della mia e una buona mano ce la dà una coppia di nonni coraggiosi, che pur di risparmiare ai nipotini l’intera giornata fuori casa si sono trasferiti nella nostra città dal loro paesino. Eppure, far traslocare da ottocento chilometri di distanza due persone non più giovani, con tutte le difficoltà connesse, è stato pur sempre più facile che ottenere un part-time.


Quali sostegni alla genitorialità, non solo in tema di conciliazione, vorresti venissero realizzati?

Credo che i genitori oggi abbiano bisogno di un’iniezione massiccia di fiducia, di ricevere incoraggiamento e conferme rispetto alla loro capacità di accogliere, amare, educare i figli, anche senza interventi esterni – che possono riuscire utili, ma secondo me non devono mai sostituirsi al ruolo genitoriale. Per dirla con il titolo del libro di uno psicoterapeuta danese che apprezzo molto, Jespers Juul, “la famiglia è competente“: mi piacerebbe che la stessa società maturasse questa consapevolezza in sé e si disponesse a guidare le mamme e i papà – anche futuri – a svilupparla.

Quali riscontri sta avendo il tuo libro? Quali aspettative hai per il futuro?

Il mio più grande desiderio sarebbe quello di riuscire a tradurre – almeno in parte – le proposte economiche e normative formulate nel libro in iniziative concrete, magari legislative. In questi mesi di presentazione del libro ho avuto contatti con ambienti sindacali, politici, istituzionali, e ho trovato qualche interlocutore attento in questo senso. Nel frattempo, non smetterò di ricercare, di confrontarmi e di scrivere, magari anche un altro libro (ironizzando con le mie amiche, dopo qualcuno dei nostri impegnativi confronti con i bimbi, ci troviamo d’accordo sul titolo: “Evviva gli asili nido”!)

Cosa consigli alle mamme acrobate che ci leggono?

Di essere fiduciose, di guardare con ottimismo e sicurezza al proprio rapporto con i figli, di vivere tutte le giornate, anche le più frenetiche e faticose, senza lamentarsi, ma con la consapevolezza di stare costruendo qualcosa di importante. E infine, di approfittare della maternità per riscoprire i talenti che ognuna possiede e che non sempre, nella dittatura impiegatizia che ci circonda, siamo riuscite a esprimere al meglio.

Un grazie a Paola Liberace.

E voi cosa ne pensate? Volete fare delle domande all’autrice del libro?

Author

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5 Comments

  1. Buongiorno,
    innanzitutto ringrazio le argute Mamme Acrobate per l’ennesimo interessante approfondimento ma anche perché, senza quest’intervista, un libro così intitolato non l’avrei mai preso in considerazione.

    Sono una mamma lavoratrice, con progetti di carriera e un percorso professionale archiviato dopo la nascita dei miei due bambini, senza “nonni coraggiosi”, una coppia per grande distanza e l’altra coppia per propria scelta genitoriale, con un marito-papà-acrobata molto flessibile e presente e con il problema apparentemente opposto a quello dell’autrice del libro: a me il part time è stato imposto e la carriera troncata perchè “non sono piu’ affidabile per questioni familiari”.

    Tralasciando l’amaro in bocca che le mie ali tarpate e l’assoluta inutilità dei passati sacrifici mi hanno portato, mi concentro sul titolo del libro e sulla mia critica alla scelta di quest’ultimo.
    Il nido per il mio primo figlio è stata una scelta educazionale, di “aggiustamento del tiro” su alcuni aspetti caratteriali del bambino e devo dire che questa scelta non solo la rifarei ma è stata premiata con l’ottenimento di tutto cio’ che speravamo portasse con se.

    Vissuto così, il nido non è un ostacolo/mezzo che limita la libertà di scelta dei genitori ma, al contrario, un forte alleato per le famiglie anche se mi rendo conto di essere fortunata proprio perché almeno questo rovescio della medaglia della maternità, se così vogliamo chiamarlo, non mi è stato imposto.

    Per il resto, sono totalmente d’accordo con l’autrice che sottolinea quello che balza agli occhi di tutte le famiglie, e cioè il debole aiuto che la società fornisce alla “voglia di futuro”, solo, forse, avrei aggiunto al titolo un punto interrogativo: “Contro gli asili nido?”.

    Chiara

  2. Per noi l’asilo nido è stato una scelta avendo anche la disponibilità di una nonna che ci ha aiutati e che ci aiuta tuttora.
    Onestamente sono assolutamente d’accordo con il messaggio che l’autrice ha voluto dare, mi chiedo come avrei fatto senza l’aiuto dei nonni e con un lavoro full time. Il nido non è certo la soluzione, sono necessari altri sostegni ai genitori che lavorano. E’ impensabile lasciare un bimbo piccolo all’asilo 10 ore al giorno (ammesso che lo tengano)!

  3. pliberace

    Ringraziando ancora a Manuela e Sabina, vorrei approfondire una questione emersa nei commenti, che non ho forse chiarito abbastanza.

    Sostenere che non ci siano “soluzioni ideali” significa ammettere che neppure il part-time lo sia: ma il part-time, così come la scelta per i nidi o qualsiasi altra scelta di conciliazione, dovrebbero essere libere. Al contrario, pur nella scarsa attenzione generale per la conciliazione, una di queste strade è decisamente più sostenuta delle altre.

    Personalmente resto convinta che nulla (né i nidi, né i nonni, né le baby sitter) possa sostituire il ruolo dei genitori nell’educazione dei figli: ma credo soprattutto che tanto chi condivide questa idea, quanto chi la pensa diversamente dovrebbe poter decidere di conseguenza. E’ questa libertà di scelta che oggi manca: a ostacolarla non sono i nidi, ma chi indirizza sui nidi tutti gli investimenti e le energie che dovrebbero essere dedicate a una pluralità di misure tra cui scegliere.

    Paola

  4. lauracrobata

    tutti questi discorsi a mio avviso mancano un po’ di senso pratico…si parla di “soluzone ideale” come se a monte ci sia un “problema da risolvere”. Questa concezione del “problema” è secondo me l’errore più grande che tutti noi commettiamo: mamme, datori di lavoro… Lla maternità è naturale e come tale deve essere trattata, le donne oggi lavorano per scleta e per necessità…dobbiamo proprio cambiare la visione della maternità. Altre culture l’hanno già fatto: noi italiani arriviamo sempre dopo un po’. Le nonne, le baby sitter, i nidi, le mamme a tempo pieno e le mamme lavoratrici sono tanti aspetti di una stessa società. Ognuno deve costruirsi una realtà in cui si riconosce e non sentirsi aliena, sbagliata, un caso da studiare solo perchè ha fatto scelte diverse da un’altra mamma…
    I nidi posso essere assolutamente positivi, così come possono esserlo le tate; possono esserlo e non esserlo le nonne…chi può dirlo e soprattutto perchè??
    Io credo che se la nostra società investisse di più sulla “formazione” anche dei piccoli tanti dubbi non ci sarebbero. Se non pensassimo solo a “dove parcheggiare” i piccoli ma a “come aiutarli a crescere sereni” in qualsiasi posto siano…saremmo tutti meno arrabbiati. E’ tutto il meccaniscmo che non funziona…

    Io ho mandato mio figlio al nido a 2 anni e sono felicissima di averlo fatto pur avendo una nonna disponibile e bravissima…

    L’importante è che i genitori valutino con attenzione tutti gli aspetti dell’educazione e della crescita dei propri figli anche quelli che non dipendono direttamente da loro. Non crediamo che per far crescere bene i nostri bambini si debba per forza tenerli attaccati a noi… bisogna vigilare…ma secondo me si può fare anche “a distanza”

  5. pliberace

    Ciao Laura,

    Condivido la tua prospettiva, specialmente per quanto riguarda l’enfasi sull’educazione e sulla necessità di non considerare i bambini come auto da parcheggiare (uno degli sforzi che ho fatto è stato quello di considerare le cose dal loro punto di vista).
    Ma non credo si possa trascurare il fatto che, mentre parliamo di scelte tutte possibili (per quanto, a mio parere, non tutte valide: non parlerei mai di “casi da studiare”, ma non posso nemmeno ignorare le ricerche e i dati che ho consultato), banalmente alcune di queste sono possibili (e anzi incoraggiate), altre no. Non lo è, ad esempio, quella di continuare a restare vicini ai propri figli nella prima infanzia senza dimettersi.
    Credo sia da questo che nasce la rabbia, ma anche la voglia di cambiare le cose, in modo da introdurre una maggiore libertà di scelta – ovviamente, assumendosi poi la responsabilità delle scelte che si sono fatte.
    Paola