Mobbing a lavoro: cosa fare? Risponde l'Avvocato

“Salve, ho trovato il vostro articolo cercando un po’ come difendermi da un’azione di mobbing da rientro maternità.
Il mio capo, una donna e anche madre, mi sta facendo credere di essere inadatta in azienda. Hanno trovato strategie subdole per provare a farmi dimettere, proponendo un part time che ingloba la mia ora giornaliera di allattamento nell’ora di chiusura del negozio. Come posso muovermi a riguardo? Spero di ricevere una risposta ….grazie”.

Questo è quello che ci ha scritto recentemente una mamma e per darle una risposta, abbiamo chiesto aiuto a un’esperta in tema di mobbing, l’Avvocato Sara Brioschi.

La domanda rivolta a MammeAcrobate, mi offre l’occasione per tornare su un tema sempre molto attuale per cercare di fornire dei consigli che spero possano essere utili a tante lavoratrici madri.

Non voglio annoiarvi semplicemente elencando la normativa italiana ed europea che “sulla carta” tutela le madri lavoratrici a 360 gradi, anche perché sono sicura che la maggior parte di voi già la conosce.
Credo sia più utile, invece, raccontarvi la mia esperienza di avvocato giuslavorista per farvi capire cosa succede nel concreto quando ci si trova nella situazione descritta dalla nostra amica.

Mobbing e rientro a lavoro dalla maternità

Purtroppo capita ancora molto spesso che al rientro al lavoro dalla maternità la donna venga messa in un angolo e svilita a livello professionale, che non venga più considerata all’altezza di ricoprire determinati ruoli per la sua nuova situazione familiare e che inizi a subire delle pressioni dal datore di lavoro finalizzate a farle abbandonare volontariamente il posto di lavoro. In alcuni casi il datore di lavoro arriva anche ad utilizzare degli strumenti quali il trasferimento di sede di lavoro o il cambiamento di mansioni, apparentemente leciti, per costringere la lavoratrice a dimettersiIl più delle volte la lavoratrice per evitare di subire umiliazioni, di dover intraprendere una causa legale contro il datore di lavoro, rassegna le dimissioni, senza nemmeno provare a lottare per tutelare i propri diritti.

Il primissimo consiglio che mi sento di dare alle lavoratrici madri che si trovano nella situazione sopra descritta è proprio quello di non rassegnare MAI le dimissioni e di combattere contro il datore di lavoro per cercare, ognuna nel proprio piccolo, di far cambiare la mentalità aziendale ancora oggi portata a discriminare questa categoria di dipendenti.

Anche se sembrerà un contro senso, con molta onestà devo farvi presente che, anche quando una lavoratrice madre sceglie di impugnare i provvedimenti datoriali illegittimi (trasferimento di sede, cambiamento di mansioni, etc.), rivolgendosi ad un legale, comunque la strada non è in discesa.

Innanzitutto perché il datore di lavoro, consapevole dei rischi annessi e connessi al licenziamento di una lavoratrice madre evita il provvedimento espulsivo, cercando quasi sempre di mettere in atto le tecniche subdole sopra precisate per ottenere le dimissioni della lavoratrice ed evitare il più possibile danni economici pesanti per l’azienda.

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Nel caso di dimissioni, infatti, la lavoratrice, anche se dovesse decidere di intraprendere un’azione legale contro il datore di lavoro, non potrà pretendere alcun tipo di risarcimento danni da licenziamento discriminatorio limitando fortemente i rischi economici per l’azienda in caso di soccombenza. Si ricorda che in caso di accertamento di un licenziamento discriminatorio la lavoratrice ha diritto a ricevere il risarcimento danni previsto dal tanto temuto art. 18 dello Statuto dei Lavoratori (restituzione del posto di lavoro oltre al pagamento delle mensilità maturate dalla data del licenziamento alla reintegra).

Nel caso in cui la lavoratrice decide di impugnare formalmente un trasferimento di sede di lavoro o un cambiamento di mansioni illegittimo deve essere consapevole che dovrà continuare a svolgere l’attività lavorativa giorno dopo giorno in un clima sicuramente pesante ed ostile.

Questo da una parte per mantenere in essere il rapporto di lavoro e dall’altra anche per raccogliere il più possibile le prove delle vessazioni messe in atto dal datore di lavoro (ad esempio: stampare le mail aziendali) da utilizzare in un eventuale giudizio in quanto si ricorda che davanti al Giudice la discriminazione messa in atto dall’azienda deve essere dimostrata dalla lavoratrice.

In molti casi le lavoratrici iniziano ad avere dei problemi di salute collegati alle vessazioni subite durante l’attività lavorativa, quindi, spesso sono costrette ad iniziare dei periodi di malattia. Il danno biologico subito dalle dipendenti, se dimostrato, dovrà essere risarcito dal datore di lavoro in caso di soccombenza in un eventuale giudizio.

All’impugnazione dei provvedimenti datoriali, se non si riesce a trovare subito un accordo, segue immediatamente un procedimento giudiziale che ha dei tempi abbastanza lunghi e dei costi legali, per lo meno inizialmente, a carico della lavoratrice. Già questi fattori, nella maggior parte dei casi, sono dei deterrenti per continuare con determinazione la lotta nella difesa dei propri diritti. A volte, però, delle lavoratrici temerarie che non mollano ci sono. 

Mobbing e lavoratrice madre: due esempi

Vi racconto proprio due casi recenti che ho seguito personalmente. Le cause giudiziali, non avendo le parti trovato un accordo, sono andate avanti e sono arrivate le sentenze. Le lavoratrici hanno vinto la causa (in primo grado) contro il datore di lavoro. Il Giudice ha dichiarato la nullità del provvedimento datoriale (in questi casi trasferimento di sede di lavoro) disponendo il provvedimento di reintegra delle lavoratrici nella precedente sede lavorativa.

Soddisfazione sia per le lavoratrici che per me.

Il paradosso è dietro l’angolo: le lavoratrici non hanno voluto comunque più tornare a lavorare in un luogo dove sapevano di non essere più gradite, dove sapevano che sarebbero state continuamente ostacolate ed umiliate. In poche parole le lavoratrici si sono stancate di lottare proprio quando avrebbero dovuto essere più grintose!

In entrambi i casi le lavoratrici, dopo aver vinto la causa contro il datore di lavoro, si sono dimesse comunque per evitare di tornare in un ambiente a loro non più favorevole. Così facendo, anche se il procedimento giudiziale è stato vinto dalla lavoratrice, nella sostanza il vero vincitore è stato comunque il datore di lavoro in quanto ha ottenuto quello che voleva: liberarsi di una dipendente ormai considerata un peso.

Far valere i propri diritti fino in fondo

Non voglio sembrare troppo critica, ma ovviamente questa decisione è la più sbagliata in assoluto. Seppur comprendo perfettamente la difficoltà di gestire una situazione così complicata come quella sopra descritta, il consiglio che mi sento di dare è quello che se si inizia a lottare bisogna farlo fino in fondo altrimenti non cambierà mai nulla.
Bisogna tornare a lavorare a testa alta seppure l’ambiente è piccolo e seppure si dovrà ancora ingoiare i rospi più grossi! Solo così si avrà la possibilità di costringere il datore di lavoro a cambiare veramente atteggiamento per permettere davvero alle lavoratrici madri di lavorare in serenità dopo il rientro dal periodo di maternità.

In conclusione se vi trovate nella situazione di dover subire delle vessazioni a causa del vostro stato di lavoratrice madre non abbiate paura a ribellarvi e rivolgetevi subito ad un esperto specializzato in diritto del lavoro per essere assistite nella gestione della situazione fin dall’inizio e per andare avanti in una battaglia che speriamo prima o poi porterà la fine delle discriminazioni nel mondo del lavoro e non solo.

 

di Avvocato Sara Brioschi

avvsarabrioschi@gmail.com

 

 

Diritto d’autore: stokkete / 123RF Archivio Fotografico

 

Author

Mamma di Tommaso e Diego, nonché avvocato sempre alla ricerca disperata di conciliare famiglia e libera professione. Civilista di formazione, dal 2010 mi occupo prevalentemente della materia che più mi appassiona: diritto del lavoro. Nel 2015, dopo aver collaborato con importanti studi legali di Milano, ho finalmente aperto il mio studio. Il mio motto sia nella vita che nel lavoro è: semplicità e trasparenza prima di tutto!

4 Comments

  1. Mi rispecchio molto in questo articolo, anche io ho sofferto e sto soffrendo perchè sono vittima di mobbing sul posto di lavoro.
    Cercando in rete mi sono imbattuto in un video che propone come alleviare la mia sofferenza. Grazie a questo video a poco a poco sto cominciando ad affrontare e eliminare le cause del mio disagio. Per questo motivo vi consiglio questo video sulla sofferenza

    • Salve Dorino mi potresti dire dove trovo il video?
      Grazie.

  2. Pingback: Mobbing: una campagna in difesa delle mamme lavoratrici

  3. Un consiglio lavoro nel settore credito e da quando è nata mia figlia ed ho chiesto il part time( sono sei anni in cui me ne hanno fatte di tutti i colori sempre nei limiti del consentito) mi hanno perseguitata al punto che oggi sono in aspettativa non retribuita e l’azienda mi propone il rientro ovviamente solo full time se non voglio ulteriori persecuzioni.
    Nel 2014 mi rivolsi alla medicina del lavoro che pur riconoscendo il danno ha dichiarato insufficienti i certificati. Ora i familiari mi intimano di lasciare la via legale e accondiscendere alle richieste del datore di lavoro.Come fate a consigliare di dare battaglia se chi lo fa viene lasciato solo non solo dai colleghi e dai sindacati ma finanche dalla stessa medicina del lavoro….