Capricci e Time out: come calmare i bambini con la tecnica del Time out

Con i bambini, si sa, non ci si può mai rilassare troppo, perché, mentre giocano tranquilli, improvvisamente si lasciano andare ad un’escalation di grida, a cui si aggiungono eventuali lanci di oggetti e botte!
Come fare ad interrompere capricci, proteste, comportamenti distruttivi e incontrollati, magari anche violenti e aggressivi? Una delle soluzioni è il Time out, che proveremo ad analizzare insieme in questo articolo.

Cosa significa Time out?

“Time out” letteralmente significa pausa o sospensione ed è un termine molto utilizzato nel mondo dello sport. Se un giocatore, per esempio, si comporta in modo scorretto, viene subito mandato in panchina e deve stare seduto, è messo in “pausa forzata” per un po’ e poi può ritornare a giocare.

In cosa consiste la tecnica del Time out applicato ai bambini?

Il Time out è una tecnica educativa che può essere utilizzata, quando i bambini si comportano in modo sbagliato o disubbidiscono. In pratica, durante il tempo stabilito per il Time out, il bambino deve restare seduto su una sedia o non allontanarsi da un determinato posto della  casa (in cui non ci siano né giocattoli, né oggetti con cui potersi far male) e fare una “pausa”, riflettendo su ciò che ha fatto e sul comportamento giusto che avrebbe dovuto adottare.

È comunque una sorta di punizione, perciò non deve essere considerata una soluzione di cui approfittare per evitare di fare qualcosa. Se noi mettiamo nostro figlio in “pausa”, perché si è rifiutato di sparecchiare o di riordinare la propria stanza, per esempio, dopo il Time out, poi dovrà mettere in ordine, altrimenti chiameremo di nuovo Time out!

Quanto deve durare il time out?

È consigliabile che duri un minuto per ogni anno di età del bambino. Anche un minuto, infatti, può sembrare un’eternità a chi è piccolo… Si può impostare un timer per controllare il tempo che passa, ma, nel caso il bambino si alzi o si allontani dal posto assegnato per il Time out, il timer verrà riavviato.

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Qual è la differenza tra il time out e il classico “Vai in camera tua!”?

Il Time out non deve essere considerato come una punizione – come lo è spedire in camera il proprio figlio con tono severo e minaccioso – ma come un modo per invitare il bambino a riflettere, a riprendere il controllo delle proprie emozioni ed evitare anche ulteriori scontri.

Proprio per non farlo considerare un castigo o un modo per allontanarlo, dovrebbe essere accompagnato da parole che facciano capire al bambino quali sono i sentimenti e le emozioni che sta provando (rabbia, dolore, frustrazione ecc.), sottolineando che, comunque, è solo quel suo comportamento ad essere sbagliato (picchiare un altro bambino, buttare per terra il cibo ecc.), ma certamente non lui e noi lo amiamo sempre e comunque.

Quali sono i benefici di questa tecnica?

I bambini non sempre sono in grado di controllare e gestire le proprie emozioni e, talvolta, nemmeno ancora sanno riconoscerle. Può servire, perciò, che l’adulto verbalizzi ciò che sta succedendo e faccia capire al bambino che la situazione è comunque sotto controllo e che allontanarsi qualche minuto potrà aiutarlo a ritornare in sé e riflettere sul comportamento giusto da adottare.

Quali sono le controindicazioni e le difficoltà di applicazione del time out?

Applicare il Time out con i bambini piccoli, potrebbe significare doverli prendere di peso e farli sedere o portare “forzatamente” nel luogo prescelto… Per far sì che sia davvero applicabile e non venga vissuto come una ‘violenza’, bisognerebbe chiamare il Time out, un po’ prima che scoppi la crisi vera e propria e il bambino perda il controllo (e che, magari, lo perdiamo anche noi…).

C’è chi dice che il Time out possa rendere i bambini più aggressivi e mini la loro autostima, senza riuscire a contenere la loro rabbia.

Il mio parere

Penso che il Time out possa essere utile, se ben applicato e non vissuto come una forzatura né una violenza sia da parte del bambino che del genitore… Se un figlio perde il controllo e si lascia andare alla rabbia non lo fa per cattiveria o per farci un dispetto, ma, spesso, perché ancora non sa come gestire e controllare quelle emozioni a cui, talvolta, non sa nemmeno dare un nome. In fondo, se pure a noi adulti capita di perdere il controllo facendo il tifo per una partita di calcio o stando bloccati nel traffico, possiamo  – e dobbiamo – pure essere tolleranti nei confronti di chi è molto più piccolo di noi…

Perciò, il bambino deve sentirsi contenuto nelle sue emozioni e deve essere aiutato a capirle, sapendo che noi ci siamo e lo capiamo (anche se non abbiamo approvato un suo determinato comportamento). È importante, allora, che non viva il Time out come un modo per liberarci di lui, perché non gli vogliamo più bene dato che è stato ‘cattivo’, ma come un momento per staccare, riprendere il controllo e riflettere.

C’è da dire che anche ai genitori può servire, talvolta, il Time out, perché gli adulti, a volte, per stress o stanchezza, rischiano di perdere la pazienza ed esagerare anche nelle sgridate ai figli…

Io, perciò, a volte consiglio il Time out più agli adulti che ai bambini, perché trovo che davvero serva allontanarsi un attimo, fare un bel respiro e poi tornare dal bambino.

A pensarci bene, spesso, capricci uguali dei figli, hanno esiti diversi proprio a seconda del nostro livello di pazienza e delle nostre risposte, perciò, quando sentiamo che la rabbia sta salendo, potremmo prenderci un minuto di pausa ed evitare di scoppiare in grida e reazioni di cui poi potremmo pentirci e che, comunque, sono inutili se non dannose.

 

Letture consigliate
Rizzi Lucia, Fate i bravi!, Rizzoli, 2009
Hogg Tracy, Il linguaggio segreto dei bambini, Edizioni Mondadori, 2014

photo credit: Time Out via photopin (license)

 

Author

Laureata in Economia per inerzia e poi in Scienze della Formazione per passione, ora sono felicemente educatrice e mediatrice familiare (e ancora manager, ma solo per se stessa!). Adoro giocare con mia figlia, ma non mi sentirei completa senza il mio lavoro così, da brava – per modo di dire! - MammAcrobata, provo a conciliare tutto, a costo di star sveglia fino a tarda notte. Da anni, collaboro con diverse Associazioni che difendono i diritti dei minori e sostengono famiglie che vivono situazioni di disagio o sofferenza. Sono socia di un'Associazione, in cui mi occupo di formazione ed essendo appassionata di comunicazione e scrittura, sono anche scrittrice, blogger e web writer.

3 Comments

  1. Cristina

    Forse i bambini molto piccoli non sono ancora in grado di capire il concetto, né tantomeno riflettere su cosa avrebbero dovuto fare/non fare… da che età si consiglia questa tecnica? Inoltre, per far capire al bambino che non viene rifiutato “lui”, non è meglio stargli vicino o comunque farsi vedere e parlargli mentre fa la pausa, anziché isolarlo in un angolo?