Sette mesi qui. Primi bilanci della mia nuova vita a Cambridge

Sette mesi quasi otto.

Se penso a quel 26 febbraio mi sembra passato un secolo, eppure, sono passati “solo” sette mesi ed é un po’ come quando ti nasce il primo figlio e tutto intorno ti sembra cambiato.
E anche tu ti senti un’altra persona da quella che eri “prima di” part(OR)ire.
Mamma quanti giorni siamo stati qui? 7 mesi. Si, ma quanti giorni? Più o meno 200.
Si ha la sensazione di voler dare una misura a questa esperienza forse per capirne meglio i contorni e cosa c’é fuori da questi.
Quello che é stato, ok, io l’ho compreso. Quello che é, ancora non del tutto.
“Quello che sarà?” ha un punto interrogativo alla fine… é una finestra che guarda avanti con eccitazione e non senza incertezze.
Con entusiasmo e una punta di incoscienza. Quella sempre.
Ché se non ne avessimo, tante cose mica le faremmo!
Quello che ho appena realizzato é che quando si fa un tuffo così alto, bisogna fare i conti con i vuoti e i pieni che lasci, che trovi.
All’inizio il vuoto più grande é quello della quotidianità che si modifica.
Persone che vedevi ogni giorno scompaiono dalla scena e tu provi con tutte le forze a trattenerle e a progettare di rivederle ma loro se ne sono già andate o forse non ci sono mai “state” davvero.
Impari che sono le persone di passaggio… ecco, quando la nostalgia per la quotidianità svanisce perché te ne sei costruita una nuova, accetti di lasciarle lì.. in quel passaggio, in quell’epoca che é passata.
Il rimpianto passa. Resta il ricordo… bello o brutto che sia ma scorre via.
Poi ci sono i vuoti più consistenti… quelli che hanno bisogno di più tempo per essere sentiti. Una volta che te ne accorgi, non ti abbandonano più ma devi trovare un equilibrio per conviverci.
Sono i vuoti che sente chi ti vorrebbe ancora vicino.
Sono i vuoti che senti tu per il fatto di essertene andato.
Sono però quei vuoti lì che rendono chiara la misura dei rapporti davvero profondi e che faranno sempre parte della tua esistenza anzi direi della tua “essenza”.
Quei rapporti sono te.
E poi, dicevo, esistono i pieni.
I pieni sono le persone nuove che, almeno per me é così, vivi sin da subito come “persone di passaggio”.
Questo non significa che non sono importanti, anzi. Con loro si crea un legame bellissimo, fatto di complicità e di quotidianità.
Sono i rapporti nati in quest’altra vita del tutto diversa da quella che facevamo a Milano.
Più lenta…
Fatta di corse in bicicletta, di lunghe passeggiate nella natura, di torte fatte in casa, di “quello che ci va”.
Fortunati noi.
I pieni…dicevo…li sento quando mi accorgo che impariamo ogni giorno qualcosa…tutti. Impariamo ad ascoltare e ascoltarci di più. Impariamo parole, modi di dire…
Impariamo cose di noi stessi.
I pieni, a un certo punto dell’avventura, riescono a compensare i vuoti.
Fanno sì che alla domanda “se tornassi indietro che faresti?” uno possa rispondere decisamente “rifarei tutto!”.

Diritto d’autore: photoweges / 123RF Archivio Fotografico

Author

(Ri) studentessa a breve. Compagna di vita e di viaggio di Paolo. Mamma di Pietro e Matteo, piccoli, grandi esploratori. Il mio motto? "Paiono traversie e sono opportunità"

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