Siamo abituati a vederlo ovunque: durante le cene, nelle feste, nei film, nei post su Instagram. L’alcol è parte integrante della nostra quotidianità. Ma ci siamo mai fermati a chiederci perché?
In questo articolo vogliamo provare a guardare in faccia questa abitudine così comune. Senza moralismi, ma con uno sguardo critico e curioso. Perché forse dietro a un gesto “normale” si nascondono dinamiche culturali, sociali ed emotive che vale la pena mettere in discussione.
Bere per staccare: quando l’alcol diventa una via di fuga
Quante volte sentiamo dire: “Mi merito un bicchiere dopo questa giornata”? L’alcol è spesso vissuto come una pausa, una coccola, un modo per evadere dallo stress della routine. In fondo, chi non sente il bisogno di mollare un po’ la presa ogni tanto?
Ma questa normalità nasconde un rischio: quello di non chiederci più perché lo facciamo. Se il bisogno di “staccare” è così forte, forse dovremmo domandarci cosa nella nostra quotidianità ci pesa così tanto. E perché non troviamo altri modi per prenderci cura di noi.
Una normalità costruita: chi ci ha detto che bere è “normale”?
La verità è che l’alcol non è solo una scelta personale: è anche (e soprattutto) un prodotto culturale. Fin da piccoli vediamo adulti brindare, rilassarsi con un bicchiere in mano, sorridere davanti a uno spritz. Nei film, nei social, nei bar: bere è sinonimo di relax, allegria, socialità.
Il messaggio che passa, specialmente ai giovani, è chiaro: “Per divertirti, devi bere”.
E così, il sabato sera diventa il momento per lasciarsi andare, anche quando non se ne sente davvero il bisogno. È una sorta di copione sociale, che difficilmente viene messo in discussione.
Le conseguenze che non vogliamo vedere
Eppure l’alcol ha delle conseguenze reali. Non solo fisiche, ma anche psicologiche e relazionali. Diminuisce il controllo, alimenta comportamenti rischiosi, può diventare una dipendenza. E ancora prima che questo accada, può diventare un rifugio, una scorciatoia per non sentire, non pensare, non affrontare.
Il punto non è demonizzare. Ma prenderci il tempo per osservare il nostro rapporto con l’alcol. Con sincerità.
I giovani e la mancanza di strumenti
Molti giovani non hanno gli strumenti per fare questo tipo di riflessione. Spesso crescono in contesti dove l’alcol è banalizzato o persino incoraggiato. E quando provano a parlarne, si trovano davanti un muro di frasi fatte: “Lo fanno tutti”, “È normale”, “Devi solo saper bere”.
Ma educare al pensiero critico significa anche questo: offrire spazi per porsi domande scomode, per imparare a dire “no” quando tutti dicono “sì”, per riconoscere i propri bisogni reali, sotto le pressioni sociali.
Serve parlarne a scuola
Questo tema andrebbe affrontato a scuola. Non solo in termini di “prevenzione” o “dipendenze”, ma come argomento culturale ed educativo.
Serve aiutare i ragazzi a decostruire i messaggi impliciti che ricevono ogni giorno. A capire che non si è strani se si sceglie di non bere. Che il divertimento non dovrebbe passare per forza attraverso l’alcol. Che esistono altri modi per sentirsi liberi, leggeri, vivi.
E allora, cosa possiamo fare?
Come genitori, possiamo osservare e rivedere il nostro rapporto con l’alcol, e come lo raccontiamo a casa.
Come adulti, possiamo aprire conversazioni con i ragazzi, senza giudizio, ma con ascolto.
Come educatori, possiamo portare questo tema nei contesti scolastici, senza aspettare che diventi un problema
Perché solo se iniziamo a fare domande, possiamo davvero cambiare qualcosa.
Se questo articolo ti ha fatto riflettere, condividilo. Potrebbe accendere un dubbio anche in qualcun altro.
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