Mobbing: una campagna in difesa delle mamme lavoratrici

O il lavoro o la maternità. Nel 2015 succede ancora questo, che una donna venga costretta a fare una scelta tra lavorare o decidere di avere un figlio. Sembra impossibile ma è così. Come se le due cose siano incompatibili.

A quante di noi è capitato durante un colloquio di lavoro di sentirsi fare domande sulla propria vita privata:

“Ha figli?”

“Ne vuole avere”?

Come se questo fosse un indice delle proprie capacità professionali, senza invece considerare quanto spesso la maternità sia un fattore di cambiamento positivo, di crescita umana e a spesso anche professionale. Come se dovessimo rendere conto ad altri di quelle che sono le nostre scelte.

I dati dell’Osservatorio Nazionale Mobbing ci dicono che negli ultimi 5 anni i casi di mobbing da maternità sono aumentati del 30%, con oltre 800 mila donne licenziate o costrette a farlo, senza contare le oltre 350 mila che ogni giorno subiscono discriminazioni:  “vessazioni, demansionamenti, dimissioni in bianco”. E solo perché sono madri.

Donne che spesso, stanche di sopportare e di combattere, o prive del supporto necessarie per farlo, si arrendono, venendo così escluse dal mercato dal lavoro, spesso vivendo enormi difficoltà nel trovare una nuova occupazione con ripercussioni non solo sulla loro carriera, ma il più delle volte anche sulle capacità di sostentamento della famiglia.

È arrivato il momento di dire basta. Di fare qualcosa di concreto per metterci un punto.

Questo è l’obiettivo di #mobbingmaternita, una campagna promossa su Megashouts.org che si rivolge direttamente a Giuliano Poletti, Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali, per fargli arrivare il messaggio di tutti, donne e uomini non più disposti ad accettare questo stato di fatto.

Tutti possiamo partecipare e  far arrivare la nostra voce attraverso i media al Governo, scegliendo tra le diverse azioni possibili proposte a questo link, con un piccolo impegno, ciascuno di noi può contribuire a rivoluzionare le cose.

E se anche voi state subendo vessazioni e discriminazioni di vario genere non vi arrendete, lottate per i vostri diritti e, anche se non sarà una strada in discesa, chiedete l’aiuto necessario per affrontare la vostra battaglia, come ci ha suggerito anche l’Avvocato Sara Brioschi in questo post, esperta di mobbing, che abbiamo intervistato qualche tempo fa.

Impariamo a dire NO. Solo così la mentalità potrà essere cambiata.

Fonti: MegaShouts

photo credit: Pro Juventute – Stopp Cyber-Mobbing Kampagne © Pro Juventute_07 via photopin (license)

 

 

 

 

Author

Acrobata per vocazione, una laurea in Lingue e Comunicazione, da oltre 10 anni mi divido tra le mie due grandi passioni: educazione e comunicazione, convinta che le due cose insieme possano fare la differenza. Da sempre in prima linea accanto ai bambini, agli adolescenti, alle mamme e ai papà, a scuola e in famiglia, ho lavorato e lavoro per diverse realtà del terzo settore occupandomi di diritti dei minori, cittadinanza attiva, intercultura, disabilità e fragilità sociale con l’obiettivo di contribuire a diffondere una cultura dell’infanzia e dell’adolescenza. Il mio sogno? Mettere al servizio dei genitori le mie competenze e professionalità, per supportarli nel loro ruolo educativo.

1 Comment

  1. Il mobbing per me è iniziato il giorno in cui ho comunicato di essere incinta. Lavoravo in un piccolo ufficio, a conduzione famigliare (marito e moglie…con figli), quindi la gravidanza l’ho comunicata subito, senza attendere i tre mesi. Le battutine sul mio stato “interessante” e sulla “pesantissima situazione” in cui stavo mettendo la società si sprecavano. Al settimo mese entro in anticipata per problemi di salute e subito mi rendo conto che non me l’avrebbero mai perdonata!
    Nase la mia bambina, passo anche in ufficio per farla conoscere….anche perche lavorando in un posto tanto piccolo i rapporti erano andati ben oltre il semplice rapporto di lavoro (cene, aperitivi, favori personali ecc).
    Il giorno del rientro dalla maternità eccola lì….una bella lettera di licenziamento…giustificata dal “sai…il fatturato cala e noi non possiamo piu permetterci il tuo stipendio”.
    Ho chiamato sedutastante i sindacati, che mi hanno risposto di lasciar perdere…ero l’unica dipendente…non potevo fare nulla!! Ma accidenti! Possibile? La mia bambina non aveva ancora un anno, io venivo licenziata per ovvi motivi discriminatori e non potevo fare nulla????
    Per fortuna ho avuto intorno persone che mi hanno detto “non preoccuparti dei costi iniziali, tanto li recuperi, vai da un avvocato con le palle e fai causa”. Così ho fatto.
    A gennaio ho vinto la causa. Ho scelto il risarcimento, non la reintegra, perche sapevo che una volta rientrata avrebbero aspettato solo il momemto buono per farmi fuori senza conseguenze…e in più ero nuovamente in dolce attesa….
    Ora stanno pagando per il torto che mi hanno fatto.
    Io nel frattempo ho preso questa cosa come un segno…dovevo cambiare qualcosa…e con la mia famiglia (marito e bimba) ci siamo trasferiti im francia, abbiamo aperto un’attività nostra e a giugno arriva il nostro maschietto!
    Non ci si deve arrendere mai…altrimenti non cambierà mai nulla. So che lo sconforto è tanto, ma bisogna farla pagare a chi pensa di poter fare ció che vuole maneggiando le vite degli altri!!!